Angelo Inglese, il sarto dei re: Hanno rubato un pezzo di storia

di Alessandra Bianco

Bari, 4 ago. (LaPresse) – “Hanno portato via un pezzo di storia. Le tre macchine da cucire rubate appartenevano a quella parte buona dell’Italia, quella sensibile che si commuove davanti alla valorizzazione di un oggetto antico piuttosto che lasciarlo nelle mani di un rigattiere qualunque, per portare avanti un’importante idea museale”. Commenta così Angelo Inglese, il sarto che cucì la camicia che il principe inglese William indossò il giorno delle sue nozze, il furto subito la settimana scorsa nel centro storico di Ginosa, a Taranto, nel palazzo dell’Arciprete che stava ristrutturando per farlo diventare il suo quartier generale.

Le tre Singer rubate hanno un valore che non si può quantificare, non semplicemente per il costo elevato sostenuto da Inglese per renderle funzionanti, ma soprattutto perché gli erano state regalate, affidate alle sue cure perché ne portasse avanti la tradizione. Una era l’omaggio di una nobile signora di Milano, l’altra arrivava da un’anziana delle Marche, la terza gli era stata donata dalla figlia di una donna che era stata apprendista nella sartoria Coen di Roma, la stessa dove avevano imparato il mestiere le sorelle Fontana. Facevano parte di una collezione di 11 macchine da cucire che l’artigiano dei re aveva da poco rimesso a posto e cominciato a utilizzare con l’idea di creare un ciclo di lavorazione che avvenisse solo con queste.

In realtà molti erano gli oggetti di valore presenti nel palazzotto. Oltre alle altre Singer, i ladri non sono riusciti a rubare un antichissimo telaio in ulivo, anche questo funzionante. Serviva per il programma di recupero della tessitura.
Troppo complesso sarebbe stato trasportarlo in una zona ormai completamente interdetta. L’opificio, infatti, si trova a due passi dalla chiesa matrice, alla fine di una strada che il 21 dicembre scorso è crollata. “Da allora – spiega a LaPresse il sarto che ha vestito, fra gli altri, l’ex primo ministro giapponese Yukio Hatoyama – abbiamo dovuto sospendere i lavori, la zona è ormai disabitata e non soggetta a controlli, e i furti non si contano: a un ebanista, per esempio, hanno portato via una macchina per intarsi. Ma, sopra ogni cosa, il sogno a cui cominciavamo a dare respiro, al momento, sembra essere diventato un’utopia”.

Quel progetto di “turismo sartoriale”, così ama chiamarlo, con il quale sarebbe stato possibile far assistere il cliente, come avviene nella cucina in cui si mostrano al pubblico le fasi di preparazione di una pietanza, alla confezione di una camicia. Non solo. Visto che realizzare un capo a mano ha dei tempi tecnici che non si possono condensare in poche ore, Angelo Inglese aveva pensato di allestire anche una foresteria e intrattenere i suoi ospiti creando per loro dei percorsi che passassero attraverso la scoperta del territorio e la degustazione e il recupero di cibi locali.