SCHEDA Thyssen, da omicidio volontario a colposo: le tappe della vicenda

Roma, 24 apr. (LaPresse) – Una morte atroce, tra le fiamme. Così persero la vita Giuseppe Demasi, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Rocco Marzo, Angelo Laurino e Roberto Scola. Erano operai della Thyssenkrupp, l’acciaieria di Torino teatro di una delle più grandi tragedie del nostro paese. L’unico superstite è Antonio Boccuzzi, oggi parlamentare del Pd. La Corte d’Assise in primo grado aveva condannato l’ad Espehnhan a sedici anni e sei mesi di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale. Una vittoria per il pool dell’accusa, costituito dai pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso della procura di Torino e per i familiari delle vittime, sempre presenti a ogni udienza. Al banco degli imputati, oltre all’amministratore delegato, c’erano anche Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento torinese, Gerald Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell’azienda, assieme a Marco Pucci, e un altro dirigente Daniele Moroni, accusati a vario titolo di omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) oltre che di omissione delle cautele antinfortunistiche. Per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, erano state confermate le richieste dell’accusa: erano stati condannati a 13 anni e 6 mesi.

Solo per Daniele Moroni la Corte aveva aumentato la pena a 10 anni e 10 mesi, i pm avevano infatti chiesto 9 anni. Era la prima volta che in un processo per morti sul lavoro gli imputati erano stati condannati a pene così alte. La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, chiamata in causa come responsabile civile, era stata inoltre condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, all’esclusione da agevolazioni e sussidi pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicizzare i suoi prodotti per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali ‘La Stampa’, ‘La Repubblica’ e il ‘Corriere della Sera’. Era il 15 aprile del 2011. In secondo grado però la sentenza era stata ribaltata. Il primo marzo 2013 la Corte d’Assise d’Appello ha stabilito che alla Thyssen non ci fu omicidio volontario riducendo a dieci anni la pena per Espehnhan. Condanne ridotte anche per gli altri ex dirigenti imputati: 7 anni ai dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci, 8 anni e mezzo per il direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno e 8 anni per Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza. Infine a Daniele Moroni la Corte d’Assise d’Appello presieduta dal giudice Giangiacomo Sandrelli aveva inflitto una condanna a 9 anni. Le madri, le sorelle e le parenti delle vittime, dopo la pronuncia della sentenza, per protesta avevano occupato la maxiaula uno del Palagiustizia di Torino per alcune ore. Erano intervenuti i carabinieri e le donne erano state ricevute in Comune a Torino. La procura aveva quindi presentato ricorso in Cassazione. Secondo Guariniello, Longo e Traverso, la tragedia fu la conseguenza della scarsa preoccupazione nei confronti della sicurezza degli operai da parte della dirigenza. La fabbrica di Torino – così era stata deciso – avrebbe chiuso pochi mesi dopo. Per questo i vertici avrebbero deciso che non conveniva investire sulla formazione, sulla pulizia e sul miglioramento dei sistemi di sicurezza dell’impianto. La difesa degli imputati della Thyssen è costituita da molti dei più noti avvocati torinesi come Cesare Zaccone, Franco Coppi, Ezio Audisio e Guido Alleva. Hanno cercato di dimostrare che alla Thyssen accadde un incidente non prevedibile, che l’azienda investì sulla formazione e sulla sicurezza degli operai.