Afghanistan, barbone, kefiah e merendine: il soft power dei fucilieri

Dal nostro inviato Fabio De Ponte

Herat (Afghanistan), 17 feb. (LaPresse) – Barba lunga e kefiah, hanno la divisa dei militari italiani ma la faccia di qualcuno che sembra nato e cresciuto in Afghanistan. Si presentano così diversi dei ragazzi del nono stormo di Grazzanise, in provincia di Caserta, che si occupano della sicurezza del perimetro intorno alla base Camp Arena, ad Herat.

“OGNI VOLTA CHE SONO IN AFGHANISTAN MI FACCIO CRESCERE LA BARBA”. “Ogni volta che vengo qui mi faccio crescere la barba lunga”, racconta il sergente maggiore Gennaro Maresca. “E’ una buona usanza – spiega -. L’ho fatto quando ho messo piede qui per la prima volta nel 2005. Da allora sono tornato quattro o cinque volte e sempre mi faccio crescere la barba. Le prime volte lo facevo per avvicinarmi meglio alla gente del posto. Loro parlavano di più con chi aveva la barba, perché la interpretavano come un segno di autorità. Ora è diventata più che altro un portafortuna. Questa – dice mostrando i folti riccoli neri che gli coprono gran parte del viso – è di oltre 100 giorni di missione, la taglierò al rientro in Italia”.

“RIFAREI QUESTA SCELTA MILLE VOLTE”. Il compito dei fucilieri è garantire la sicurezza nel raggio di 8 chilometri dall’aeroporto della base. Sono in 27, divisi in tre squadre da nove, e garantiscono due missioni al giorno. “Siamo quasi tutti delle province di Caserta e Napoli”, racconta il sergente Michele Della Vecchia. Sale sul Lince, il mezzo blindato con il quale pattugliano l’area intorno alla base per compiere una delle due missioni quotidiane, e si mette alla guida. La sua è la terza auto di un convoglio di quattro. Non c’è strada – né asfaltata né sterrata – si transita sul terreno e le buche provocano continui scossoni. “Io sono in aeronautica dal 2000 – racconta – non sono proprio giovane del mestiere. E devo dire che è una esperienza che rifarei mille volte. Sono contento, il lavoro che ho scelto non mi è stato imposto da nessuno. Certo, mi guardo intorno e vedo che siamo tutti di provenienza campana, pugliese, siciliana. Io la domanda l’avrei fatta anche se fossi nato a Milano. Ciò non toglie che al sud la vita militare viene scelta anche perché le opportunità non sono tante”.


“PARTITO SUBITO DOPO IL VIAGGIO DI NOZZE”. Si è appena sposato. “A ottobre – spiega – ho fatto il viaggio di nozze e a novembre sono venuto qua. Mia moglie non ne era molto felice. Adesso le ho promesso un altro viaggio quando arrivo a casa”. Della Vecchia è in Afghanistan da cinque mesi e la sua missione volge al termine. “Lei sapeva benissimo – spiega – il lavoro che facevo e se non l’avesse condiviso tra noi non poteva funzionare. Tutti i fucilieri dell’aria vanno in missione. Quando facciamo domanda per fare il fuciliere sappiamo che l’impiego principale è quello fuori dai confini nazionali”. “Mia madre? E’ apprensiva e si preoccupa. La chiamo molto spesso, quasi quotidianamente, e di solito riesco a rassicurarla. In questi cinque mesi fortunatamente non è successo nulla, anche se il rischio è sempre alto e la nostra attenzione è sempre al massimo quando usciamo”.

MERENDINE AI BAMBINI “PER TENERCI BUONA LA POPOLAZIONE”. A un paio di chilometri dalla base il convoglio si ferma nei pressi di un paio di case. Si avvicinano una ventina di bambini e una decina di uomini, alcuni molto giovani, altri dall’aspetto anziano. Nessuna donna. Sorridono, sanno cosa aspettarsi. Le visite dei fucilieri sono frequenti. I militari scendono dai mezzi, hanno un paio di scatoloni pieni di merendine, cracker, yogurt. Non è una disposizione dei vertici ma una loro scelta. Sono prodotti che ricevono per sè e li tengono da parte per queste occasioni. “E’ una cosa che facciamo per tenerci buona la popolazione e dimostrare che non siamo contro di loro”, spiega Della Vecchia. I bimbi sono preparati, sanno come comportarsi. Si mettono in riga accovacciati sulle ginocchia, e aspettano di ricevere qualcosa. Tra gli adulti uno solo parla qualche parola di inglese. E’ un poliziotto, spiega, mostrando orgogliosamente il certificato del corso che ha seguito a Camp Arena. Indica suo figlio. Si chiama Massoud, come l’eroe nazionale afgano che combattè l’invasione sovietica.