Ilva, nuovo mandato d’arresto per Fabio Riva

Milano, 22 gen. (LaPresse) – Il gip di Milano Fabrizio D’Arcangelo, su richiesta dei pm Mauro Clerici e Claudio Gittardi, ha firmato una richiesta di custodia cautelare nei confronti di Fabio Riva e di altre 4 persone fisiche. Da quanto si apprende Riva e gli altri indagati sarebbero stati iscritti a vario titolo per associazione a delinquere e truffa aggravata. Sarebbe indagata anche la holding del gruppo dell’acciaio Riva Fire per violazioni della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle società.

Oltre a Fabio Riva, uno dei figli del patron dell’Ilva Emilio Riva che risiede a Londra, la richiesta di misure cautelari riguarda anche un dirigente ai vertici della Riva Fire, l’amministrice delegata della controllata svizzera del gruppi Riva Sa che è al centro delle indagini oltre al titolare italiano della finanziaria svizzera Eufin Trade, coinvolta nella truffa, e sua figlia. Sono accusati a vario titolo di associazione a delinquere e truffa aggravata per circa 100 milioni di euro accumulati dalla Riva dal 2007 ad oggi attraverso il meccanismo dei rimborsi disposto dalla legge Ossola.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il meccanismo messo in piedi dalla Riva Fire per percepire illecitamente finanziamenti pubblici erogati con la legge Ossola è molto complesso. La legge del 1977 prevede la possibilità che le aziende italiane che esportano dei prodotti lavorati in Paesi extraeuropei ricevano un contributo da parte dello Stato se gli acquirenti dilazionano il pagamento di almeno 2 anni. A garanzia di queste dilazioni vengono emesse delle promissory note, una sorta di bond con degli interessi prestabiliti, che il venditore di solito si fa scontare da una finanziaria. Lo Stato interviene colmando la differenza tra l’interesse concesso all’acquirente extra europeo e la cifra incassata effettivamente dall’esportatore.

Nel caso del gruppo Riva, gli acquirenti dell’acciaio, per lo più grandi compagnie petrolifere, pagavano le forniture in tempi brevissimi, senza nemmeno chiedere dilazioni. Dal 2007, però, i vertici dell’azienda facevano arrivare i pagamenti alla controllata svizzera Riva Sa, che emetteva delle promissory note a 2 anni fungendo di essere l’acquirente. Questi bond venivano poi inviati dalla Ilva spa e venivano nuovamente girati alla finanziaria svizzera Eufin Trade Sa, che era complice nella truffa. La Riva Sa, quindi, riacquista le promissory note e il gruppo incassava il contributo statale. Un meccanismo che, secondo gli inquirenti, avrebbe fruttato circa 100 milioni di euro dal 2007 ad oggi.