Di Fabio De Ponte
Torino, 23 dic. (LaPresse) – Contratti interinali di un mese, rinnovati l’ultimo giorno. Anche così si lavora nel Centro di identificazione ed espulsione di Torino. “L’ultimo giorno del mese firmiamo il contratto per il successivo”, spiega Mario, un operatore della Croce rossa (che è l’ente gestore del centro) che ha accettato di parlare a LaPresse a condizione – il nome è di fantasia – che la sua identità non sia pubblicata. Lavora da anni al Cie di corso Brunelleschi. Di giorno sono in servizio sette o otto operatori e di notte sono quattro o cinque. Più un mediatore culturale. I mediatori, che ruotano a turno, in tutto sono otto: due tunisini, un egiziano, un albanese, una moldava, due marocchini e uno per la lingua araba. Portano anche loro la divisa della Croce rossa. Diversi operatori e tutti i mediatori non sono dipendenti della Croce rossa, ma lavorano con contratti interinali della durata di un mese.
Pesa la scarsità di risorse: “Il personale della Croce rossa manca sempre, con la crisi non riesce a coprire tutto”. E la situazione potrebbe aggravarsi. “Con la privatizzazione – denuncia Mario – dal primo gennaio sono a rischio tutti gli interinali”.
Così non si riesce a stare dietro alle esigenze. Nel centro “le condizioni di vita” per i migranti “sono pessime”, spiega. “Sono sei in una stanza e si scontrano diversi caratteri e nazionalità”. Insomma la tensione, continua, è tanta. Qualche volta, quando scattano le rivolte e le forze dell’ordine riescono a prendere i migranti che stanno cercando di scavalcare le recinzioni, ci sono anche le botte per quelli che il Viminale chiama ‘gli ospiti’. E in quel caso, prosegue, è prezioso il lavoro dei mediatori culturali che, essendo anche loro stranieri, stanno a metà tra l’autorità e i migranti e cercano di raffreddare gli animi. Circa i sospetti – avanzati da legali e associazioni di solidarietà coi migranti – di un abuso di somministrazione di psicofarmaci, ridimensiona: “Alcune persone hanno problemi, ma il medico cerca di ridurre sempre”.
Getta acqua sul fuoco il presidente provinciale di Torino della Croce Rossa, Graziano Giardino. “Chiaramente il personale può avere le sue perplessità”, commenta, ma con la privatizzazione “la struttura resterà tale e quale. Nell’organizzazione della Croce rossa ci sono i dipendenti di ruolo, quelli a tempo determinato e gli interinali. Abbiamo un certo numero di questi ultimi distribuiti su tutte le convenzioni”. Quella con la prefettura di Torino per la gestione del Cie scadrà ad aprile, spiega, e fino ad allora il personale può stare tranquillo. Sarà rinnovata? “Non sappiamo cosa vuole fare la prefettura – spiega -. Non ci ha ancora chiesto preventivi. Probabilmente si farà un bando di gara”.
La privatizzazione della Croce rossa è prevista dal decreto 178 del 2012 ed è stata divisa in due tranche: la prima, che riguarda le unità locali e provinciali, scatterà il primo gennaio 2014. La seconda, che riguarda il livello regionale e centrale, a inizio 2015. “Cambierà la nostra natura giuridica – spiega Giardino – e diventeremo una associazione di promozione sociale. Cosa cambia? Che non siamo più pubblici, stiamo sbrigando un mucchio di burocrazia per inizio anno. Attendiamo un decreto che regolamenti i rapporti tra Croce rossa privata e pubblica nell’anno di transizione”.
All’origine della scelta del Governo Monti di privatizzare, i forti debiti accumulati dall’ente. Per quanto riguarda i conti del livello provinciale di Torino, però, non sembrano esserci grossi problemi: “A Torino galleggiamo – dice Giardino -. Cerchiamo in modo oculato di gestire le attività e di farle funzionare al meglio”.