Roma, 21 dic. (LaPresse) – Sono sei i Cie in Italia. Erano tredici fino a due anni fa, ma poi hanno chiuso prima quello di Brindisi (a giugno 2012), poi Trapani Vulpitta (agosto 2012), seguito da Lamezia Terme (ottobre 2012), Bologna (marzo 2013), poi Crotone e Modena (agosto 2013) e un mese fa quello di Gradisca d’Isonzo. Restano Bari, Caltanissetta, Milano, Roma, Torino e Trapani Milo. Secondo il rapporto Arcipelago Cie, pubblicato nel maggio scorso da Medici per i diritti umani (Medu), nel 2012 nei Cie sono transitate complessivamente 7.944 persone: di queste esattamente la metà (il 50,5%) sono state rimpatriate.
Quelle fuggite sono state 1.049 (cioè più di una su otto) e 415 quelle dimesse per scadenza dei termini. Solo il 5% del totale, infatti, resta dentro i Cie per 18 mesi (termine che è cumulativo e riguarda il tempo di permanenza complessivo in caso di trattenimento successivo in diverse strutture). Il motivo, spiega Guido Savio, referente della campagna ‘Lasciateci entrare’ dell’Associazione studi giurici sull’immigrazione (Asgi), è legato a un problema di efficienza: “Il Cie è una macchina che deve girare, c’è un problema di turnover. Difficilmente se la polizia non riesce a identificare una persona in cinque o sei mesi, può farlo prendendosi del tempo in più. Perciò lo fanno uscire liberando un posto per qualcun altro, il cui consolato magari collabori di più. In questo modo cercano di aumentare le percentuali di espulsione”.
“A Torino non li tengono mai più di otto mesi”, conferma Stefania Gatti, patrocinatrice di alcuni migranti trattenuti nel Cie. “Ho incontrato persone – aggiunge – che sono state trattenute anche cinque volte”. Non sempre, però, si tratta di persone che non vogliono farsi identificare. In alcuni casi il problema è burocratico. “Tanti ragazzi del Marocco – spiega – sono nati in contesti rurali e una carta di identità lì non l’hanno mai avuta. Sono arrivati qui da minorenni, e in Marocco non risultano da nessuna parte”. Hanno finito per crescere in Italia senza avere la cittadinanza né qui né là. E restano in un limbo da cui non riescono più a uscire.
Quanto costano queste strutture? La più dispendiosa, secondo il rapporto del Medu, è quella di Milano, gestita dalla Croce Rossa, che riceve 60 euro al giorno per trattenuto. A Torino, la stessa Croce Rossa ne chiede solo 47. Il più economico era quello di Crotone, che si faveva bastare 21,4 euro. L’anno scorso proprio a Crotone tre migranti sono saliti sul tetto della struttura per protesta, facendo sei giorni di sciopero della fame. Processati, nel dicembre 2012 sono stati assolti dal giudice che, dopo aver disposto un’ispezione, ha riconosciuto la “legittima difesa” contro il “trattamento inumano e degradante” della struttura.