Cagliari, 22 set. (LaPresse) – Bisogna essere “furbi come il serpente” per abbattere “l’idolo del denaro” al centro di “una scelta mondiale” che ha determinato “un sistema economico che porta a questa tragedia”, che toglie speranza e dignità alle persone con la disoccupazione e distrugge le famiglie. E per farlo bisogna pregare affiché il Signore “ci insegni a lottare per il lavoro”. E’ il messaggio lanciato da Papa Francesco a Cagliari, dove si trova in visita pastorale. Il Pontefice ha prima ascoltato le lettere aperte di un operaio, di un imprenditore e di un pastore, col primo che gli chiedeva con molta concretezza di “intercedere sul presidente della Regione e su chi ha autorità per risolvere le vertenze” perché “il Sulcis, il mediocampidano, il nuorese e il sassarese muoiono ogni giorno”.

E lui non ha potuto restare indifferente. Ha iniziato a leggere il discorso che aveva preparato ma, dopo poche frasi, ha preferito lasciarlo da parte: prima ha raccontato la sua esperienza personale, parlando dell’Argentina e della sua famiglia che, emigrata, ha perso tutto nella grande crisi del 1929, e poi dire quello che gli veniva dal cuore, guardando in faccia le persone. Perché, ha detto, il suo non fosse “il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice ‘coraggio'”. “Avevo scritto alcune cose per voi – ha spiegato – ma guardandovi mi sono venute queste parole. Io consegnerò al vescovo queste parole scritte come se fossero state dette, ma ho preferito dire quello che mi viene dal cuore guardandovi in questo momento”.

“I MIEI PERSERO TUTTO NELLA GRANDE CRISI”. “Con questo incontro desidero soprattutto esprimervi la mia vicinanza, specialmente alle situazioni di sofferenza: a tanti giovani disoccupati, alle persone in cassaintegrazione o precarie, agli imprenditori e commercianti che fanno fatica ad andare avanti. E’ una realtà che conosco bene per l’esperienza avuta in Argentina. Anche io non ho conosciuto la mia famiglia, mio papà da giovane è andato in Argentina, pieno di illusioni, a cercare l’America e invece ha sofferto la terribile crisi del Trenta. Hanno perso tutto. Non c’era l’oro. E io ho sentito nella mia infanzia parlare di questo a casa. Io non l’ho visto, non ero ancora nato. Ma ho sentito in casa parlare di questa sofferenza. La conosco bene”.

“NON SONO UN IMPIEGATO DELLA CHIESA, DEVO FARE IL MIO”. “Devo dirvi coraggio. Ma sono cosciente che devo fare il mio, perché questa parola coraggio non sia una bella parola di passaggio. Non sia solo il sorriso di un impiegato della Chiesa che viene e vi dice coraggio. Questo non lo voglio”.

“LA COLPA E’ DEL SISTEMA ECONOMICO MONDIALE”. La crisi, con le sue sofferenze, ha continuato, “è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, un sistema economico che ha al centro un idolo, che si chiama denaro. Dio ha voluto che al centro non ci sia un idolo, ma un uomo e una donna. Il mondo è diventato idolatra, comanda il denaro”.

“L’EUTANASIA NASCOSTA”. “Cadono gli anziani – ha aggiunto – perché in questo mondo non c’è posto per loro. Alcuni parlano di ‘eutanasia nascosta’, perché non vengono curati, vengono lasciati perdere”. “Si scartano i nonni e si scartano i giovani e noi dobbiamo dire no a questa cultura dello scarto. Dobbiamo dire ‘vogliamo un sistema giusto, che faccia andare avanti tutti’. Non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male. Al centro devono essere l’uomo e la donna, non il denaro”.

“DOBBIAMO ESSERE FURBI COME IL SERPENTE”. “Dobbiamo essere furbi – ha proseguito il Pontefice – perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi di noi. Il Signore ci invita ad avere la furbizia del serpente con la volontà della colomba. Dobbiamo avere questa furbizia e chiamare le cose col loro nome. Oggi al centro c’è un idolo”, quello del denaro. “Lottiamo tutti insieme perché al centro ci sia l’uomo e la famiglia”.

“LA SPERANZA E’ SOTTO LA CENERE, DOBBIAMO SOFFIARE”. “La speranza – ha continuato – è come il fuoco sotto la cenere. Aiutiamoci, soffiamo sotto la cenere, perché torni il fuoco. La speranza dobbiamo sostenerla fra tutti. La speranza è una cosa vostra e nostra è cosa di tutti. Per questo vi dico non lasciatevi rubare la speranza”.

“LA SARDEGNA COME LAMPEDUSA, TERRA DI SOFFERENZA”. “Questa – ha sottolineato il Papa – è la seconda città che visito dell’Italia. E’ curioso, tutte e due sono isole. Nella prima ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane e salute. E’ il mondo dei rifugiati. E ho visto la risposta di quella città che, essendo isola, non ha voluto isolarsi, che riceve e ci dà un esempio di accoglienza. Sofferenza e risposta positiva”. “Anche qui – ha continuato – in questa seconda isola che visito, trovo sofferenza, una sofferenza che, qualcuno ha detto, ti toglie la speranza (questa è una citazione della lettera aperta rivolta a lui che un operaio aveva letto poco prima, ndr). Una sofferenza che ti porta, scusate se uso una espressione forte, ma è vero, ti porta a sentirti senza dignità”.

“SIGNORE A TE NON MANCO’ IL LAVORO, INSEGNACI A LOTTARE”. Il Pontefice ha poi concluso innalzando questa preghiera: “Signore Dio guardaci, guarda questa città e questa isola, guarda le nostre famiglie. Signore a te non è mancato il lavoro, hai fatto il falegname, eri felice. Signore ci manca il lavoro. Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore aiutati ad aiutarci tra noi, a dimenticare l’egoismo e a sentire il ‘noi’, il ‘noi popolo’ che vuole andare avanti. Insegnaci a lottare per il lavoro”.

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