Francesco, Papa da un mese: il ‘pastore’ che cambierà la Chiesa

Città del Vaticano, 12 apr. (LaPresse) – Papa Francesco supera domani, 13 aprile, il capo dei primi trenta giorni di pontificato, e la Chiesa continua a guardarlo. Guardarlo, non sentirlo. In questo, probabilmente, anche Papa Bergoglio ha imboccato, suo malgrado, lo stesso percorso dei suoi due immediati predecessori. Un percorso che lo porterà, prima o poi, ad entrare in rotta di collisione con quello che i “papologi”, gli interpreti di quello che il Pontefice ha nella sua mente, gli attribuiscono e quello che, invece, come Papa sarà obbligato a fare. A Papa Francesco, in questi giorni, sono state attribuite una somma di intenzioni: la cacciata, con obbrobrio, del cardinale segretario di stato Tarcisio Bertone; la soppressione dello Ior a vantaggio della banca etica; il superamento del magistero della Chiesa in materia di bioetica; la sconfessione della teologia patristica in materia di primato di Pietro; l’abbandono della categoria del “papato” a favore di una teoria “episcopale” politicamente compatibile, se non addirittura simile, a quelle luterana ed anglicana e altre amenità del genere. Sembra quasi che, nel mondo della comunicazione, Papa Francesco abbia indossato, con decisione ancora inespressa, la talare bianca del romano pontefice non per guidare, ma per castigare i cattolici.

Fino al punto, si sospetta, di volerli addirittura disabituare i fedeli di Roma dalla ormai bimillenaria, cattiva abitudine di considerare il vescovo dell’Urbe come Vicario di Cristo e successore di Pietro. Aspettando che Papa Francesco cancelli dal Vangelo di Matteo il capitolo 16, quello che dice che è Pietro e che sulla quella pietra Cristo ha edificato la sua Chiesa, il primo mese di pontificato del nuovo Papa ha espresso finora tre aspetti rilevabili. Dal punto di vista istituzionale, le decisioni che il Pontefice ha finora reso esecutive sono solo due: ha semplificato, per il momento, le cerimonie pontificie e ha messo in quiescenza l’ufficio delle onorificenze. Fino ad ottobre, ha comunicato alla Segreteria di Stato, non vuole avere la scrivania ingombrata dalle carte delle centinaia di pratiche di aspiranti monsignori, prelati, cavalieri, commendatori od altro. Per il resto, negli altri uffici della Curia romana ‘todo sigue igual’. Almeno così ha detto il 12 aprile mattino, quando ha ricevuto i circa duecento ecclesiastici dipendenti dalla segreteria di stato.

Dal punto di vista pastorale, ha introdotto anche nelle omelie papali il linguaggio diretto della cosiddetta “pastorale ordinaria”: cosa che, per chi seguiva le cerimonie in San Pietro, era già ampiamente praticata dall’arciprete della Basilica Vaticana il cardinale Angelo Comastri. E anche se dette con linguaggio sereno, le cose che insegna parlano di rispetto della disciplina dei sacramenti, di coerenza nella vita cristiana, di accettazione delle esigenze della conversione a Cristoà.Tutte cose che, quando si vuole passare dalla teoria alla pratica, restano tanto belle quanto difficili. Il terzo aspetto rilevabile è quello che riguarda il modo di vivere dentro il Vaticano, ritrasformando la Casa Santa Marta in quello che Giovanni Paolo II (che l’ha fatta costruire) e Benedetto XVI (che ha tentato di animarla) volevano fosse: una casa sacerdotale, con uno stile di vita consono alla vita cristiana, e fraterna, che dovrebbe animarla. Per il momento, sappiamo che molti ospiti della casa stanno andando ad abitare fuori le mura vaticane, mentre il Papa resta. Non sarà una battaglia facile e neanche breve.