Conclave, nelle prime due Congregazioni i cardinali ‘popemakers’

Città del Vaticano, 4 mar. (LaPresse) – Una manciata di voti, 12-15 ‘grandi elettori’ al massimo, una piccola ‘cordata’ da far conoscere (e subito) all’esterno e da portare, infine, sin dentro il Conclave. Ma non per diventare Papa: piuttosto per vivere – nei giorni decisivi per la Chiesa mondiale – il ruolo fondamentale di ‘popemakers’. In altre parole, quei cardinali che per prestigio, potere o capacità di mettere assieme altri prelati, sono in grado di pesare sulla scelta del futuro Pontefice creando tante piccole alleanze (pochi voti, appunto: intorno alla decina per ciascuna di esse) da far convergere, infine, su un unico nome vincente. Sembra questa, stando alle iniscrezioni, la strategia che si sta affermando all’interno delle Congregazioni generali dei cardinali dopo le due prime sessioni di lavoro (questa mattina e oggi pomeriggio). Uno scenario molto diverso da quello che si delineò invece otto anni fa, prima dell’elezione di Joseph Ratzinger alla guida della Chiesa mondiale.

Allora, dopo la morte di Giovanni Paolo II, gli schieramenti e le ragioni che stavano dietro ciascuno di essi erano infatti rispettivamente più forti e più chiare di quanto non accada oggi. La Chiesa di Wojtyla puntava su una scelta in grado di assicurare continuità e il nome del prefetto dell’ex Sant’Uffizio fu sin dall’inizio il più forte e il più solido negli ambienti moderati e conservatori del Sacro Collegio. In contrapposizione a Ratzinger, anch’esse delineate con altrettanta nettezza (sia pure con un numero di consensi sin dall’inizio più esiguo), enersero poi le due cadidature dell’italiano Carlo maria Martini e dell’argentino Jorge Mario Bergoglio. Oggi, in seguito alle dimissioni improvvise e sconcertanti di Benedetto XVI e agli scandali che hanno agitato la Chiesa negli ultimi anni (da quello dei preti pedofili a Vatileaks) una simile chiarezza sui ‘lavori preparatori’ del Conclave non è più possibile. Di qui, dunque, un diverso comportamento da parte di alcuni dei cardinali più prestigiosi, ma con scarse possibilità di diventare pontefici (o per una rinuncia personale già annunciata o perché non in grado di raccogliere consensi generali o per un’età troppo avanzata e segnata da problemi di salute conosciuti): pronti cioè a consolidare un piccolo ‘pacchetto’ di voti da unire poi in Conclave a quello altrettanto esiguo di altri ‘popemakers’, quando il definirsi degli schieramenti consentirà l’alleanza decisiva. Tutto ciò starebbe già avvendendo all’interno delle Congregazioni generali, dal cui riserbo trapelano infatti alcuni nomi attorno ai quali si starebbero coagulando un numero ristretto di voti.

In particolare, quello di tre italiani: il Camerlengo Tarcisio Bertone, il decano del Conclave Giovanni Battista Re e monsignor Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura: ciascuno in grado di muovere un ‘pacchetto’ di 12-15 voti. Destinati a un Papa italiano, 35 anni dopo Albino Luciani? Se così fosse, il candidato più accreditato sarebbe Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Commissione episcopale italiana(l’unica altra candidatura italiana considerata “possibile” è invece quella del’arcivescovo di Milano Angelo Scola, vicino alle posizioni di Comunione e Liberazione). Secondo altri pareri, invece, sarebbe proprio uno dei ‘popemakers’ italiani, il cardinale Re, lo sponsor più forte del cardinale brasiliano Odilo Pedro Scherer, attuale arcivescovo di San Paolo del Brasile, con un passato nella diplomazia e nella Curia vaticane proprio quando lo stesso Re era uno dei cardinali più importanti della Curia ai tempi di Giovanni Paolo II