Torino, 21 gen. (LaPresse) – Ancora fischi, slogan, applausi e momenti di confusione alla seconda udienza del maxiprocesso No Tav che si celebra al tribunale di Torino per gli scontri al cantiere della Tav avvenuti nell’estate del 2011. L’udienza si è aperta ed è stata rinviata dopo tre quarti d’ora. Un primo momento di tensione si è verificato quando il giudice Quinto Bosio ha annunciato che le prossime udienze del processo si terranno nella maxiaula bunker del carcere delle Vallette di Torino.
“Perché in aula bunker?”, ha gridato un imputato. “Non capiamo perché è stata scelta l’aula adibita a processi per mafia e terrorismo”, ha fatto notare uno degli avvocati del team legale, che segue il movimento No Tav. La spiegazione da parte del giudice non è arrivata, o non si è sentita anche perché il giudice Bosio parla molto piano e non usa il microfono. “Voce, voce!”, “Non sentiamo, abbiamo diritto di capire”, hanno urlato in più momenti vari imputati. Il secondo momento di caos è seguito alla fine, quando il giudice dopo l’appello ha deciso il rinvio dell’udienza al 14 febbraio.
Un rinvio motivato da un fattore tecnico, cioè la volontà di unire ai 45 imputati del processo altri otto No Tav imputati per gli stessi fatti ma arrestati successivamente. Dal pubblico il brusio si è trasformato in fischi ed urla. “Siamo imputati e lei se ne frega di noi? Non ci può negare di fare dichiarazioni, non può chiudere l’udienza già adesso”, ha gridato un No Tav. “Intendiamo protestare contro i domiciliari di uno degli imputati”, ha allora detto Tobia Imperato, anarchico, imputato. Dopo essersi alzato ha letto un appello per la liberazione di un imputato ai domiciliari. “Juan libero, liberi tutti” ha concluso. Il pubblico si è quindi lasciato andare in applausi, fischi, altri slogan. La prima udienza di questo processo si era svolta invece fin dall’inizio all’insegna del caos, in un’aula da 50 posti dove erano stipate 200 persone. Dopo le grida e gli slogan dei No Tav, che avevano esibito striscioni, un cameraman della Rai era stato colpito da un pugno da alcuni imputati che non gradivano essere ripresi.