Ascoli, scoperto giro fatture false per oltre 100 milioni: 32 denunce

Ascoli Piceno, 9 ago. (LaPresse) – Associazione per delinquere, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione di documentazione contabile, indebite compensazioni d’imposta e falsità in scrittura privata. Sono i reati contestati dalla guardia di finanza di Ascoli Piceno a 32 indagati, nell’ambito di una complessa e articolata indagine su un maxi giro di fatture false per oltre 100 milioni di euro emesse dal 2007 al 2011. L’indagine, condotta dal nucleo di polizia tributaria di Ascoli Piceno, ha permesso di ricostruire un’evasione fiscale connessa agli scambi commerciali con la Repubblica di San Marino e altri Paesi comunitari. Aziende commerciali e manifatturiere del fermano e maceratese, attive nei settori del pellame, accessori per calzature e materie plastiche, ottenevano rimborsi e compensazioni grazie a fatture false.

Il gip ha disposto il sequestro di beni mobili e immobili nonché conti correnti bancari e postali per circa 33 milioni di euro. Individuate violazioni alle norme fiscali sui redditi per oltre 82 milioni di euro, sull’Iva per oltre 31 milioni di euro, indebite compensazioni d’imposte per quasi 3 milioni di euro e materia imponibile Irap evasa per oltre 81 milioni di euro.

La frode avveniva attraverso vendite fasulle da soggetti nazionali prossimi al fallimento o addirittura già falliti da anni a beneficio di società italiane riconducibili agli indagati, ma formalmente amministrate da persone molto anziane o straniere, che di fatto non hanno esercitato l’attività, non hanno istituito o hanno distrutto la contabilità, non hanno presentato dichiarazioni fiscali e non hanno versato imposte.

Venivano poi emesse fatture per operazioni inesistenti da parte di queste società per la vendita della medesima merce nei confronti dei promotori della frode, gli operatori effettivi, che, di conseguenza, risultano formalmente aver pagato la relativa Iva (così creandosi un indebito credito d’imposta e la disponibilità documentale di beni in magazzino). Spesso tali transazioni non sono avvenute direttamente, ma per il tramite di aziende nazionali in normale attività, in modo da frammentare gli acquisti fasulli tra più fornitori e destare così minori sospetti.

Il gruppo poi effettuava vendite intracomunitarie sempre degli stessi beni (quindi senza applicazione e incasso dell’Iva, ai sensi della normativa in vigore per gli scambi intra Ue) nei confronti di aziende con sede in Slovacchia, Romania e nella Repubblica di San Marino, tutte riconducibili ai medesimi soggetti italiani, autori del piano illecito.