Aborto sotto lente Consulta: a rischio per direttiva Ue sul biotech

Roma, 7 giu. (LaPresse) – La compatibilità tra la facoltà di abortire e la normativa comunitaria, in particolare quella contenuta in una direttiva sulle biotecnologie. E’ questo l’oggetto sul quale sarà chiamata a decidere la Corte costituzionale il prossimo 20 giugno. Il caso è sorto in relazione a una ragazza di 17 anni che si è presentata al consultorio della Asl di Spoleto nel dicembre scorso insieme al fidanzato chiedendo di abortire senza avvisare i genitori. Seppure collegato al caso di una minorenne, il ricorso alla Consulta non ha nulla a che vedere con la minore età ma riguarda il diritto all’aborto nel suo complesso.

Il giudice tutelare di Spoleto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale facendo riferimento a una decisione della Corte europea dalla quale “sembra doversi ritrarre la conclusione sostanziale che l’embrione umano è suscettibile di tutela assoluta in quanto ‘uomo’ in senso proprio, seppur ancora nello stadio di sua formazione/costituzione mediante il progressivo sviluppo delle cellule germinali”. Il magistrato ha ritenuto perciò di dover “porre d’ufficio la questione della compatibilità fra tale affermato principio e la facoltà prevista dall’articolo 4 della legge numero 194/1978 di procedere volontariamente all’interruzione della gravidanza entro i primi novanta giorni dal concepimento: ciò comportando, come è ovvio, l’inevitabile risultato della distruzione di quell’embrione umano che, come si è visto, è stato riconosciuto quale soggetto da tutelarsi in modo assoluto nel diritto vivente della Corte europea”.

Il magistrato spoletino fa riferimento alla sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 18 ottobre 2011 circa la corretta interpretazione della direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, che contiene, fra le altre cose, la definizione della nozione di “embrione umano”. La direttiva stabilisce infatti che sono escluse dalla brevettabilità “le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali”. La Corte europea, chiamata a fornire una interpretazione esatta di questo articolo, ha stabilito che “costituisce un ‘embrione umano’ qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e svilupparsi”.

“Il principio interpretativo affermato dalla Corte – scrive il magistrato spoletino – deve ritenersi assumere efficacia diretta e vincolante per tutti gli Stati membri”, che sono “chiamati ad applicare la legislazione interna dello Stato in maniera armonica e non confliggente con quanto affermato dalla Corte europea”.

Insomma, è la tesi del magistrato, la facoltà di abortire non sarebbe coerente con la definizione stabilita dalla Corte europea di “embrione” in relazione alla direttiva sulle biotecnologie. A nulla è valsa per il giudice la precisazione della stessa Corte che scrive: “Quanto al significato da attribuire alla nozione di ‘embrione umano’ prevista all’art. 6, n. 2, lettera c) della direttiva, si deve sottolineare che, sebbene la definizione dell’embrione umano costituisca un tema sociale particolarmente delicato in numerosi Stati membri, contrassegnato dalla diversità dei loro valori e delle loro tradizioni, la Corte non è chiamata, con il presente rinvio pregiudiziali, ad affrontare questioni di natura medica o etica, ma deve limitarsi ad un’interpretazione giuridica delle pertinenti disposizioni della direttiva”. Il magistrato ha ritenuto, trovandosi di fronte la relazione dell’Asl sul caso di una ragazza che voleva abortire senza avvisare i genitori (nella quale i sanitari, vista la maturità dimostrata dalla giovane, esprimevano parere positivo sulla richiesta), di bloccare tutto e portare l’intera questione della legittimità dell’aborto di fronte alla Corte costituzionale. Col risultato, secondo quanto scrive La Nazione, che la giovane spoletina ha dovuto mettere al corrente i genitori per avere il consenso e poter procedere all’interruzione di gravidanza.

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