Torino, 14 mag. (LaPresse) – “Il comportamento degli imputati è di notevole gravità”. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza Eternit, depositate oggi al tribunale di Torino, dopo la sentenza del 13 febbraio scorso che ha condannato a 16 anni il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, 91 anni, imputati per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche. “Emerge tutta l’intensità del dolo degli imputati, – si legge nel documento firmato dalla Corte d’Assise presieduta dal giudice Giuseppe Casalbore – perché sia De Cartier che Schmidheiny hanno continuato nonostante tutto e non si sono fermati, né hanno ritenuto di dover modificare radicalmente e strutturalmente la situazione al fine di migliorare l’ambiente di lavoro e di limitare per quanto possibile l’inquinamento ambientale”. “Gli imputati – si legge in un altro passaggio – hanno cercato di nascondere e minimizzare gli effetti nocivi per l’ambiente e le persone derivanti dalla lavorazione dell’amianto pur di proseguire nella condotta criminosa intrapresa, facendo così trasparire un dolo di elevatissima intesità”. “Non può essere riconosciuta alcuna attenuante – scrive il giudice in 733 pagine – mentre risulta evidente che gli imputati hanno agito in esecuzione del medesimo disegno criminoso”.
La sentenza era stata pronunciata dalla Corte d’Assise presieduta dal giudice Giuseppe Casalbore. Oltre mille persone avevano ascoltato in tre maxiaule il verdetto del più grande processo mai celebrato in Italia, con 160 delegazioni da tutto il mondo. Sono 6392 le parti civili, quasi tremila i morti e i malati per la fibra killer, almeno 2300 le vittime negli stabilimenti italiani, a partire dal 1952, di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Millecinquecento solo i morti a Casale, lo stabilimento più grande in Italia, chiuso nel 1986. Il pool dell’accusa, composto da Raffaele Guariniello, Gianfranco Colace e Sara Panelli, in 62 udienze, dal 2009, ha cercato di dimostrare come i capi della Eternit, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga Louis De Cartier De Marchienne, 91 anni, imputati di disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure antinfortunistiche, avessero continuato – pur sapendo che l’amianto uccide – a mantenere operative le fabbriche per fare profitto. E che avessero omesso di far usare tutte quelle precauzioni – come l’uso delle mascherine o dei guanti – per evitare che migliaia di persone si ammalassero di tumore al polmone o di absestosi.
Durante l’arringa finale Guariniello aveva chiesto 20 anni per ognuno dei due imputati, che non si sono mai presentati al processo. La loro difesa, rappresentata dagli avvocati Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva per Stephan Schmidheiny, e da Cesare Zaccone per Louis De Cartier, ha sempre sostenuto che entrambi siano innocenti, che all’epoca dei fatti non si sapesse quanto fosse nocivo l’eternit e che, infine, troppi anni sarebbero passati da allora affinchè oggi si possa preparare una difesa equa: mancherebbero i documenti e le testimonianze. Secondo l’accusa il gruppo svizzero della famiglia Schmidheiny fu ai vertici della Eternit dal 1972 al giugno dell’86, dal ’52 al ’72 invece l’azienda faceva capo – secondo i pm – alla famiglia Emsens e al barone Louis de Cartier, formalmente presente nel consiglio di amministrazione dal ’66 al ’72.