Roma, 6 apr. (LaPresse) – Nelle sovraffollate carceri italiane migliaia di detenuti vengono costretti a prendere psicofarmaci in modo che stiano buoni. Molti col tempo finiscono per sviluppare una dipendenza, col risultato che le prigioni si trasformano in fabbriche di tossicodipendenti. Il fenomeno colpisce soprattutto i detenuti in attesa di giudizio, persone quindi che ancora aspettano una sentenza e che potrebbero perciò oltretutto anche essere innocenti. La denuncia arriva dalle stesse guardie carcerarie: la segnalazione infatti è dell’Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), uno dei principali sindacati di settore. Secondo il segretario dell’organizzazione, Leo Benedeuci, “oltre il 40% dei detenuti in attesa di giudizio nelle case circondariali, pari ad oltre 12mila individui e oltre il 10% di detenuti condannati nelle case di reclusione pari ad ulteriori 3.500-4.000 sono soggetti ad una sorta di ‘contenimento chimico’ nelle carceri italiane, a causa del massiccio uso di psicofarmaci”.
“A leggere la lunghissima lista dei farmaci somministrati in carcere – prosegue il sindacalista – c’è da rimanere esterrefatti visto che, a parte gli ettolitri di valium, nelle patrie galere si somministra praticamente di tutto, dagli antipsicotici agli ipnotici, dagli antidepressivi agli oppiacei, dalle benzodiazepine agli stabilizzatori dell’umore. Si tratta, spesso – continua Beneduci – di farmaci di non facile reperimento all’esterno, visti gli altissimi rischi di dipendenza e che invece in carcere vengono assunti, su prescrizione del medico dell’istituto e in presenza del personale paramedico e di polizia penitenziaria, quali medicine di contenimento, in quanto somministrate non secondo tempi e modalità indicati dalle case farmaceutiche nel bugiardino, ma solo quando viene effettuato il giro della terapia interno alle sezioni”. “E’ facile immaginare – aggiunge Beneduci – che il maggior consumo di psicofarmaci nelle case circondariali da parte dei detenuti in attesa di giudizio, rispetto ai detenuti con condanna definitiva nelle case di reclusione, sia legato alla maggiore libertà interna per le attività sociali, ricreative o culturali di questi ultimi, rispetto ai detenuti in attesa di giudizio costretti in cella anche per 20 ore ogni giorno”.
Il tutto genera anche un mercato nero interno alle prigioni: in carcere esiste un vero e proprio borsino – spiega il leader dell’Osapp – tanto che, ad esempio, mezza pasticca di Subtex (un oppiaceo) di regola viene scambiata con due pacchetti di sigarette, mentre venti gocce di Rivotril (un tranquillante) equivalgono a 5 sigarette. “In alcuni casi – spiega Beneduci – vengono persino preparati dei micidiali cocktail con più farmaci e non è da escludersi che tali miscugli siano direttamente collegati alle morti in carcere per overdose o per inalazione di gas dalle bombolette dei fornellini nelle celle”.
“Di regola – aggiunge – è ritenuto che la sofferenza ed il disagio nelle attuali carceri italiane siano legati al sovraffollamento (66.318 detenuti per 45.757 posti il 5 aprile 2012), all’inigienicità dei locali e alle carenze di risorse e di personale e non si immagina minimamente che le nostre carceri siano anche una fabbrica di tossicodipendenti o, nella migliore ipotesi, di intossicati da abuso di farmaci con il costo che ne consegue per la società e questo sarebbe, di per sè, un motivo più che valido per deflazionare subito e con immediati provvedimenti di clemenza il sistema penitenziario”.