Torino, 16 giu. (LaPresse) – Dopo 20 giorni dal ricevimento dell’avviso di garanzia, e dopo la prima notte passata ai domiciliari nella sua villa di Leinì, l’ex assessore regionale alla sanità Caterina Ferrero (Pdl) oggi pomeriggio è stata interrogata per due ore dal gip Cristiano Trevisan in Tribunale a Torino. Accompagnata dall’avvocato Roberto Macchia, in tailleur scuro e tesa in volto, la Ferrero non ha rilasciato dichiarazioni ai giornalisti. Dentro all’ufficio del giudice, che nell’ordinanza, per lei, ha parlato di “pericolosità sociale”, stabilendo i domiciliari per il rischio che potesse influenzare, da assessore, i procedimenti amministrativi, la Ferrero – che si è dimessa ieri – ha respinto tutte le accuse. Sia l’ipotesi di reato per cui è stata emessa la misura di custodia, la turbativa d’asta, per cui è indagata di aver dato ai farmacisti il monopolio della distribuzione dei pannoloni per incontinenti revocando una regolare gara d’appalto. Sia quello di abuso di ufficio – per cui invece non sono emersi elementi sufficienti per la richiesta dei domiciliari – per cui, secondo i pm, avrebbe spinto per aprire un servizio di emodinamica a Chivasso per favorire il candidato sindaco del Pdl alle scorse amministrative. Anche la vicenda dei pannoloni, secondo i pm, avrebbe avuto come obiettivo quello di favorire alcuni candidati del Pdl, accattivandosi i farmacisti. E mentre l’avvocato dell’ex assessore si riserva di decidere se richiedere la scarcerazione o meno per la sua assistita, dal consiglio regionale tuona il governatore del Piemonte Roberto Cota. Che, dopo aver difeso il suo operato, “ho tutelato la Regione”, “la Ferrero non si è dimessa subito, il 27 maggio, perché allora gli indizi non erano gravi”, avverte: “Ora fuori le mele marce”. “Colpito dalla vicenda giudiziaria”, Cota promette di istituire un’agenzia di controllo interna all’ente regionale per prevenire i reati, “senza sovrapporsi all’attività giudiziaria” e apre alla possibilità, come chiesto da Pd e Idv, di istituire una commissione d’inchiesta in consiglio regionale. E mentre il coordinatore del Pdl, Enzo Ghigo, accusa la magistratura torinese, che sta portando avanti anche la maxi-inchiesta contro la ‘ndrangheta, di “mettere in dubbio il concetto di rappresentanza politica”, il procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli difende le competenze di pm e giudici. “Se il ritorno della politica è il ritorno all’impiego di percorsi patologici costituenti reato, allora è tutt’altra partita e la magistratura, ricorrendone i presupposti e rimanendo nei suoi confini di competenza, può occuparsene”.