A dieci giorni dalla fine del periodo di transizione il 31 dicembre, dopo lunghi mesi di turbolenti negoziati, un’intesa sulla relazione commerciale post-Brexit ancora non sembra a portata di mano. Regno Unito e Unione europea restano in disaccordo sui punti più spinosi, incastrati in particolare nell’impossibilità di trovare un compromesso sul settore economicamente ridotto della pesca. Abbastanza significativo, però, da far rischiare il no deal e quindi l’uscita ‘a precipizio’ dal blocco comunitario, il 1 gennaio 2021. Altro punto particolarmente sensibile, che ha ostacolato la via verso l’accordo, è stato quello delle garanzie per l’equa concorrenza.
“Continuiamo a lavorare duramente”, “rispettiamo la sovranità del Regno Unito e ci aspettiamo la stessa cosa. Entrambi dobbiamo avere il diritto di decidere le proprie leggi e di controllare le proprie acque”, ha twittato il capo negoziatore per la Brexit dell’Unione europea, Michel Barnier. Aggiungendo però anche: “Ed entrambi dovremmo poter agire quando i nostri interessi sono in gioco”. Prima aveva preso la parola il premier Boris Johnson, tramite il suo ufficio, accusando Bruxelles di “continuare a fare richieste incompatibili con la nostra indipendenza. Non possiamo accettare un’intesa che non ci lasci il controllo delle nostre leggi o acque”.
Da mesi, ormai, l’Ue e gli Stati membri del blocco ripetono di volere l’accordo, ma non “a ogni costo”. L’Europarlamento aveva fissato una scadenza alla mezzanotte di domenica per il raggiungimento dell’intesa fra le parti, spiegando che andando oltre non avrebbe avuto il tempo necessario a organizzare la seduta straordinaria per l’approvazione entro Capodanno. Ma nel fine settimana la speranza che l’annuncio di un compromesso arrivasse si è affievolita sempre più, man mano che le ore passavano. Fonti ufficiali di entrambe le parti hanno confermato che le posizioni si sono a malapena smosse, nonostante i colloqui pressoché continui.
Il controllo e la sovranità su acque e confini britannici, così come su regole e leggi, è stato un pilastro centrale dei Brexiteer e della loro vittoria al referendum del 2016. Johnson, succeduto a Theresa May che a sua volta aveva preso le redini del governo dopo le dimissioni post-referendum di David Cameron, non intende cedere e rivendica il controllo sulle acque di pesca e i relativi diritti su accesso e quote. L’Ue, a sua volta, resta immobile sulla sua posizione, per cui quelle acque sono state condivise per decenni, se non per secoli, rifiutando quindi di rinunciare ai diritti di accesso e pesca.