Era riuscito a convincere l’allenatore dell’Inter, Antonio Conte, ad affidargli 24 milioni di euro, promettendogli investimenti sicuri e interessi del 10% in un solo anno. Invece quella di Massimo Bochicchio, un passato da banker a Londra, era un’elaborata truffa finita al centro di un’inchiesta della Procura di Modena. Adesso il broker è indagato anche a Milano per riciclaggio e le Fiamme Gialle gli hanno sequestrato beni per 10,9 milioni di euro. Tra questi, la casa a Cortina d’Ampezzo e opere d’arte di grande valore.
Era un giro d’affari milionario quello messo in piedi da Bochicchio. Oltre a Conte, erano tanti i vip, le personalità del mondo dello sport e della cultura che erano caduti nella sua ragnatela. Il calciatore Stephen El Shaarawy, l’ex ct della Nazionale Marcello Lippi e il figlio Davide, l’ex difensore della nazionale francese e della Juventus Patrice Evra, per citarne alcuni. Bochicchio curava anche gli investimenti del designer romano Achille Salvagni e dell’ambasciatore Raffaele Trombetta. I loro nomi compaiono in un passaggio delle 50 pagine del decreto di sequestro preventivo firmato dal gip di Milano Chiara Valori insieme a quelli di imprenditori e esponenti del bel mondo che volevano investire “consistenti capitali” anche “sottratti ad imposizione fiscale o provento di altri reati”, con “la massima riservatezza” per “occultarne la provenienza delittuosa”.
Per i pm milanesi Paolo Filippini e Giovanni Polizzi, “a partire almeno dal 2011”, il consulente avrebbe “raccolto attraverso le società Kidman Asset management e Tiber Capital cospiscui capitali dei propri clienti, veicolandoli in investimenti realizzati anche in Paesi a ridotta tassazione, massima tutela della riservatezza e bassa collaborazione giudiziaria, come Singapore, Hong Kong ed Emirati Arabi Uniti, promettendo alti rendimenti e, in caso di necessità, anche l’assoluta risevatezza dell’investimento, omettendo i controlli antiriciclaggio prescritti”.
Il broker, che da ottobre scorso è a Dubai e in passato ha lavorato a Londra, aveva convinto diversi personaggi di rilievo a fidarsi di lui. A tutti diceva che la sua società, la Kidman, era una “entità non ufficiale” tramite la quale la banca d’affari Hsbc “investiva importanti capitali”. Per convincere i potenziali investitori, Bochicchio forniva addirittura documentazione su carta intestata della merchant bank e diceva di avere ottimi rapporti con Samir Assaf, “il numero tre” mondiale della banca per la quale aveva lavorato in passato ma con cui aveva interrotto da tempo ogni rapporto. A tutti prometteva rendimenti intorno al 10% all’anno.
Decisive per l’inchiesta sono state le dichiarazioni di Daniele Conte, fratello dell’allenatore, che dopo aver lavorato per la Tiber Capital, società di cui il broker era co fondatore, a.d. e “beneficial owner”, nel novembre del 2017 lo aveva denunciato per truffa e appropriazione indebita.
“So che aveva tantissimi clienti, tutti italiani, ovvero qualche calciatore straniero”, ha detto ai pm Daniele Conte sottolineando come “Bochicchio non facesse nessun tipo di controllo sulla provenienza del denaro che riceveva, né sotto il profilo di una due diligence antiriciclaggio, né tantomeno chiedeva agli investitori se avessero correttamente informato l’autorità fiscale delle disponibilità detenute all’estero”.
“Una volta ricevuto il denaro, Bochicchio lo utilizzava per diversi scopi – ha fatto mettere a verbale il fratello dell’allenatore -. Proprie spese personali che gli garantivano a lui e alla sua famiglia un elevatissimo tenore di vita. I fondi venivano usati anche con fini di effettivo investimento, soltanto che Bochicchio utilizzava strumenti finanziari molto rischiosi. Il problema era che questi tipi di investimenti erano troppi rischiosi e avrebbe dovuto informare i propri clienti e farsi autorizzare questo tipo di attività, prospettano sia i potenziali guadagni ma soprattutto le possibili perdite elevatissime”.