A un anno dal primo intervento in questo senso, l'Antitrust torna a rivolgersi agli influencer per ricordare loro che anche quando si parla attraverso i social network presentando le proprie esperienze personali la pubblicità deve sempre essere palese. Nel luglio 2017 l'Autorità si era rivolta esclusivamente alle "star" e alle aziende. Questa volta, invece, le lettere nelle quali si ricorda che in ogni messaggio con effetto pubblicitario la natura promozionale deve essere esplicitata attraverso l'utilizzo di hashtag come #pubblicità, #advertising o #prodottofornitoda sono state inviate anche a utenti con un numero di follower non elevatissimo, ma la cui capacità di raggiungere e influenzare il pubblico digitale è stata ritenuta di rilievo.
A fornire qualche numero è Buzzoole, società italiana che, grazie a una intelligenza artificiale che analizza i dati di traffico e i contenuti dei post, si occupa proprio di mettere in contatto le aziende con gli influencer più idonei a veicolare il loro messaggio. Una analisi effettuata monitorando tra il 1° febbraio e il 30 giugno la presenza dei due indicatori più diffusi per questo tipo di attività – cioè #ad e #adv – su Instagram, Twitter e Facebook ha rilevato come in cinque mesi i post in italiano contenenti questi "hashtag della trasparenza" siano stati 55 mila. A generarli sono stati 15.200 account e il numero di interazioni che hanno suscitato si attesta a 42 milioni.
Con oltre 78mila follower su Instagram e 74mila su Twitter, Luca Talotta può a pieno titolo essere definito un influencer di un certo peso. Sui suoi profili, i temi forti sono le automobili e la tecnologia, rigorosamente accompagnati dall'hashtag #ad quando la comunicazione è promozionale. Intervistato da LaPresse, mostra di accogliere con favore una regolamentazione sempre più chiara del settore. Il problema, spiega, è ancora soprattutto sul lato utente.
Quanto sono cambiate le cose da quando l'Antitrust ha esplicitato l'obbligo di rendere palese anche sui social network quando un messaggio è pubblicitario?
"Dal punto di vista pratico non sono cambiate moltissimo. Anche senza l'obbligo c'era chi, come me, gli hashtag già li metteva a prescindere. Con la normativa diciamo che siamo più tutelati. Anche dal punto di vista delle aziende non ci sono stati grandi cambiamenti: per alcune il discorso non è importante e questo va un po' a nostro discapito, ma non mi è mai capitato che mi chiedessero di non mettere gli hashtag. E se accadesse mi rifiuterei di farlo".
Tu oltre che influencer sei anche giornalista. I due ruoli possono convivere?
"Sì, anche se non è semplice. In molti non lo hanno ancora capito, ma il lavoro di fondo è lo stesso. Cambiano il mezzo che utilizzi, che per l'influencer è il social network, e chi ti paga, in questo caso l'azienda invece che l'editore. Ma di base è sempre un lavoro di comunicazione con un messaggio da far passare. Nel caso dell'influencer poi può esserci la forma pubblicitaria, ma che devi essere comunque bravo a raccontarla come un'esperienza e a inserirla in un contesto".
I follower quanto sono sensibili alla trasparenza, in questo senso?
"Il punto è proprio che la gente non riesca ancora a capire bene la differenza. Una piccola parte degli utenti mi danno del "marchettaro", ma sono una percentuale minima. Mentre la stragrande maggioranza sembra non aver ben capito che si tratta di progetti pagati, me ne accorgo da quello che mi scrivono in chat. C'è da dire che fino a due anni fa il panorama italiano per quanto riguarda questa professione era un deserto, quindi è probabile che semplicemente anche al pubblico serva del tempo per capire una figura nuova".