Nel mirino ci sono i duecento metri, l’obiettivo è
fare meglio del suo 20″10 fatto quest’anno a Eugene, secondo tempo italiano dopo Pietro Menna. E nel cassetto il
sogno degli Europei a Roma e delle Olimpiadi a Parigi l’anno prossimo. Intanto si gode Tenerife, “fa caldo, qui si va in forma più facilmente”, e pensa alla stagione outdoor.
Filippo Tortu ha 24 anni, una medaglia d’oro nella
4×100 ai Giochi di Tokyo e a LaPresse racconta: “per me l’atletica è fare il meglio possibile, è la sfida con me stesso. Dare il 100% è il più grande traguardo ed è anche la cosa più difficile”.
Come va l’allenamento?
Bene, molto bene, sono a Tenerife, abbiamo fatto un raduno di una ventina di giorni con un gruppo di saltatori e delle velociste. Fare squadra mi fa tanto piacere, fa arrivare in campo più contento e felice, gli allenamenti li faccio da solo però possiamo condividere tutto il resto. Erano un paio d’anni che non venivo qui causa Covid e sono molto contento di tornare, c’è il sole, si va un pochino più facilmente in forma rispetto a casa, le condizioni sono migliori.
Come proseguirà la stagione dopo Tenerife?
La stagione non è proprio una stagione, dopo Tenerife se mi sento bene farò un paio di gare. Farò un test in questi giorni però sono venuto qui per lavorare in ottica dei duecento metri ad agosto ai mondiali di Budapest.
Come ti senti?
Mi sento bene, abbiamo lavorato molto bene, davvero tanto, in questa prima parte di preparazione. Sono molto fiducioso di arrivare preparato, pronto e più competitivo rispetto all’anno scorso per la stagione outdoor.
Sui duecento metri c’è un certo tempo da battere, il tuo è il secondo italiano dopo Pietro Mennea.
Quel tempo è molto lontano (19″72, ndr), io sono concentrato sul mio, il mio è da battere, sarebbe importante confermarmi quest’anno, diciamo che l’obiettivo è andare sotto i venti secondi.
Qual è la tua gara preferita?
Ogni gara ha delle cose che non hanno le altre e che la rendono unica, non saprei come rispondere, per me sono tutte stupende. I 100 metri è come se fossero una frazione di secondo, è solo corsa. I 200 non dico che siano una gara tattica perché non lo sono, però sono una gara preparata, bisogna essere più lucidi mentalmente, presenti durante la corsa. Nella 4×100 hai la bellezza del gioco di squadra, l’adrenalina di passare il testimone, di vedere il tuo compagno che corre verso di te.
Sui 100 metri il concorrente si chiama Marcell Jacobs, si è parlato tanto della vostra rivalità.
I giornali ci hanno ricamato su un po’, fa parte del gioco, ma il rapporto non penso sia mai cambiato rispetto a come è sempre stato, è buono. Ognuno si allena per conto suo e vuole ottenere i propri risultati ma ha fatto solo bene a entrambi il fatto che ci siamo stimolati a vicenda. Poi io sono uno che difficilmente guarda all’esterno per trovare gli stimoli, cerco di tirarli fuori rispetto alle sfide che mi pongo con me stesso. Delle volte lo spirito dell’atletica lo ritrovo in questo, ho sempre vissuto la sfida più con me stesso che con gli altri. Poi naturalmente magari quando ci si allena assieme o si gareggia nello stesso posto quello sì che è un bello stimolo.
Pensi ci sia un effetto Tortu e Jacobs sull’atletica? Che anche grazie a voi i giovani si stiano avvicinando a questo sport?
Sicuramente i risultati degli ultimi anni non solo nostri ma di tutta l’atletica contano: La forza è avere tanti atleti molto competitivi in molte discipline. Ce n’è per tutti i gusti chi è appassionato o si potrebbe appassionare sta trovando tanti riferimenti in questa squadra che secondo me è una delle migliori di sempre, se non la migliore di sempre. Penso che l’atletica dal 2016 stia vivendo un crescendo continuo che spero possa continuare più a lungo possibile.
Hai 24 anni, hai l’università, gli amici, ti pesa la vita da atleta e le rinunce che inevitabilmente comporta?
Delle volte può pesarmi come a chiunque, anche se sei innamorato del tuo lavoro delle volte ci sono che ti pesa fare qualcosa qualche sacrificio. Ma penso che in molti vorrebbero fare la vita di noi sportivi e sinceramente non farei a cambio con qualunque altro mestiere o lavoro. Mi viene complicato anche a chiamarlo lavoro, perché mi diverto talmente tanto che come dice il detto ‘fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno nella tua vita’. Poi lo vivo in maniera maniacale, ultraprofessionale perché se vuoi avere dei risultati in questo mondo devi vivere dedicando il 100% delle tue energie fisiche e mentali a quello che vuoi raggiungere.
Che è un po’ quello che fa la differenza, no? Magari in molti hanno talento, ma i campioni sono pochi.
Il talento fa il 95% del percorso e con l’allenamento e la testa fai il restante 5%, ma quel 5% è la differenza tra una versione di te stesso buona, mediocre, e il meglio che puoi ottenere, ed è quello che ti può far fare il salto tra un buon atleta e un campione. Ho capito negli anni che non necessariamente un campione lo si vede da una medaglia, dal risultato, ma penso che la cosa più importante che un atleta può ottenere diventare il migliore atleta possibile, non avere rimpianti perché poteva fare di più, allenarsi meglio. Dare il 100%, mettersi così tanto in gioco, è il più grande traguardo ed è anche la cosa più difficile.
Come affronti una gara? Hai dei riti scaramantici?
Quand’ero più piccolo sì, con gli anni diciamo che mi concentro più sull’approccio mentale alla gara e tutto il resto passa il secondo piano, come il colore delle scarpe o la maglietta. Poi ogni tanto quelle cose un po’ più divertenti fa piacere farle ma la cosa pi importante è come si approccia alla gara. Non so se sia più importante l’approccio alla gara o all’allenamento, sono due cose molto diverse e una conseguente all’altra, nel senso che essere molto predisposto all’allenamento ma poco alla gara può risultare inutile, ti puoi allenare benissimo ma se non sei pronto ti sei quasi allenato invano. Se non ti alleni bene ma poi sei un animale da competizione non arrivi pronto. Sono cose che vanno costruite negli anni e devono andare di pari passo.
E quando una gara va male, o semplicemente non va come ti aspettavi?
Capita che va male, ci sono volte che dire che è andata male è poco perché è andata malissimo, ci sono delle volte che va tutto bene, secondo me è importante gestire entrambe le occasioni nello stesso modo. Una gara è un qualcosa che inizia e finisce lì, in quei dieci, venti, speriamo 19 secondi, 37 secondi se parliamo della staffetta, ha un tempo limitato e da lì si può importare una lezione, un errore, qualcosa che può esserti utile. Una medaglia è una grande iniezione di fiducia, ma quando la gara va male hai tanta voglia di riscatto e puoi essere competitivo la volta dopo.
Com’è il rapporto con il papà allenatore?
Ottimo nel senso che come papà non mi posso assolutamente lamentare perché abbiamo un bellissimo rapporto, e come allenatore ancora meglio. Io dico sempre che io mi faccio allenare da lui non perché è mio padre ma perché lo reputo un ottimo tecnico. Se non fosse così non avrei assolutamente problemi a farmi allenare da qualcun altro. Il fatto di continuare con lui è sininomo della grande fiducia e della grande considerazione che ho di lui come allenatore.
Qual è il sogno da realizzare?
Sogno una vittoria agli Europei 2024 e una medaglia a Parigi 2024 questi sono i due sogni prossimi.
In quale specialità?
E’ indifferente, magari anche più di una! Se devo sognare a questo punto sogno din grande e dico anche più di una.