E' guerra aperta tra il Coni e la Federnuoto, nella persona di Paolo Barelli. Il 'casus belli' scoppiato ieri nel corso della giunta del Coni riguarda il ricorso al Tar presentato dal presidente della Fin contro l'assoluzione di Giovanni Malagò, numero uno dello sport italiano, da parte del Collegio di Garanzia del Coni, ultimo grado di giudizio della giustizia sportiva. Il caso risale al 2014 quando a causa di alcune frasi lesive pronunciate in merito a presunte doppie fatturazioni per la ristrutturazione e il mantenimento della piscina olimpica del Foro Italico per il Mondiale 2009, Malagò venne inibito 16 mesi (poi ridotti in appello) in qualità di presidente del Circolo Canottieri Aniene. La decisione del Collegio di Garanzia del Coni, che ha cancellato la squalifica, non è andata giù a Barelli.
Con la scelta di ricorrere al Tar il presidente della Federnuoto è uscito però dai parametri della giustizia sportiva, sconfinando in quella ordinaria. E violando così lo statuto del Coni che non permette agli sportivi di appellarsi alla giustizia ordinaria. "La carte sono molto chiare – ha evidenziato Malagò – Noi abbiamo fatto il nostro dovere, ci appelliamo a quelle che sono le regole. Oggi qualcuno in Giunta ha invitato Barelli a ritirare il ricorso dopo tutto l'imbarazzo procurato. Con molta franchezza mi stupirebbe se lo facesse". A dar manforte al capo dello sport italiano è intervenuto anche Gianni Petrucci, ex presidente del Coni e numero uno della Federbasket. "E' così difficile ritirare il ricorso al Tar? E' una cosa impossibile? Dove vogliamo arrivare? – si è chiesto – è una questione politica, si tratta di agire con buon senso e ritirare il ricorso. Probabilmente la cosa indispettirà Barelli, ma si è creato un vulnus. E questo va al di là del discorso sulla ragione o meno della questione". Dura anche la presa di posizione del numero uno della Coni Servizi e della Federgolf, Franco Chimenti. "Il ricorso al Tar presentato dalla Federazione italiana nuoto è inaccettabile e insopportabile – ha spiegato – Tra l'altro danneggia l'immagine dello sport italiano. Se vuoi fare una cosa del genere, devi uscire da questo consesso. Se rimani dentro devi rispettarne le regole".
La palla passa adesso a Paolo Barelli, che si trova davanti un 'aut aut': ritirare il ricorso o andare incontro alla decadenza della carica di numero uno della Fin. A tal proposito il regolamento parla chiaro. Sia l'articolo 7.4 (comma 7) dei Principi Fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive ed associate, sia l'articolo 25 (punti 7 e 8) dello statuto della Fin prevedono l'ineleggibilità e la decadenza dalla carica di presidente nei casi di controversie giudiziarie contro il Comitato Olimpico. Anche per questo motivo dal Coni attendono la prossima mossa della Fin, dato che il tempo stringe: la sentenza del Tar, che in ogni caso ha giudicato ammissibile il ricorso di Barelli, è prevista per il 14 giugno.
La Federnuoto in ogni caso non è rimasta a guardare. "La Fin non cerca rogne: è stata attaccata da suo padre, il Coni, e ha reagito. Vedremo quali saranno le conseguenze – ha evidenziato ieri Barelli replicando a Malagò – L'avvocato del Coni Alberto Angeletti è entrato nel merito della questione, io non ho qui l'avvocato e mi autodifendo. La denuncia per truffa presentata dal Coni nei nostri confronti è stata archiviata perché il fatto non sussiste e in questo momento non c'è nessun ordine perentorio di iscrivere me nel registro degli indagati". A tal proposito la Fin si fa forza sul fatto che Barelli avrebbe agito su mandato della federazione, non della sua persona. E quindi non potrebbe andare incontro al provvedimento di decadenza/ineleggibilità. Nell'attesa di conoscere la prossima mossa di Barelli, la sensazione, a poco più di due mesi dai Giochi di Rio, è che a rimetterci in questa vicenda sia lo sport italiano.