Bossini e la medaglia più bella: Così vinsi il cancro

La storia della rinascita del nuotatore dopo aver sconfitto un tumore

Quella di Paolo Bossini è la storia di una rinascita. Dai scintillanti podi delle piscine europee ai minacciosi spazi di un altro tipo di corsia, quelle di un ospedale. Una sfida che non consiste più nel rubare metri agli avversari in acqua, ma nello sconfiggere un nemico che cresce e ti divora da dentro. Una sfida condotta sempre con la stessa determinazione, sempre con la stessa voglia di superarsi. Non era immerso nel suo elemento preferito, l'acqua, ma Paolo è riuscito comunque a vincere la sua battaglia. E rituffarsi nell'amata piscina. Classe 1985, bresciano, una lunga militanza con i colori dell'Aniene, a soli 19 anni Bossini mette in bacheca un oro europeo nei 200 rana a Madrid e due anni dopo a Budapest è argento nella stessa specialità. Nel 2010 la scoperta di un tumore linfatico interrompe, d'improvviso, la sua brillante carriera. Ma non la voglia di tornare al più presto alle gare. Una parabola che ricorda quella di molti sportivi e, in tempi recentissimi, quella dell'olandese Inge Dekker: la plurimedagliata olimpica ha annunciato di avere un cancro, ma di voler comunque essere presente al grande appuntamento di Rio.

"Mi stavo recando in piscina. Ero fermo ad un semaforo e mi sono reso conto di avere un bozzo al collo", ricorda a LaPresse Bossini, oggi direttore tecnico allo Sport Village di Pesaro. "Credevo fosse una contrattura e mi sono rivolto al fisioterapista. Magari è una ciste, è stato il primo pensiero. L'ecografia successiva mi ha messo in apprensione: poteva essere un tumore. Con gli esami successivi è arrivata la doccia gelata. Intervento d'urgenza, entro due settimane la chemio. Una notizia piombata in un periodo non certo positivo. Arrivavo da un periodo difficile, la mia prestanza fisica era in calo perché evidentemente il tumore iniziava a darmi disturbo.

Durante la tua battaglia a cosa ti sei aggrappato, a cosa pensavi?

 A sconfiggere la malattia e tornare al più presto in piscina. Volevo dimostrare a me stesso e alle persone vicino a me, mia moglie e mia figlia, che se affronti un momento difficile in un certo modo, se credi ad un obiettivo, è più facile riuscire a superarlo. Mia figlia stava frequentando l'asilo: l'ho riportata a casa e mi sono dedicato a lei, tutti i giorni. Un impegno mentale, un'occupazione per restare costantemente vigile sull'obiettivo. L'amore per mia figlia, in questa battaglia, è stato fondamentale.

Il tuo primo pensiero nel momento dell'atteso ritorno in piscina?
 

Mi sono detto 'Che fatica'. Un anno fuori dalla vasca per un atleta è una sofferenza. Ma non mi sono arreso e in due mesi ero già tornato al peso forma. Ho cercato di allenarmi nel migliore dei modi.

Che cosa ti è rimasto, oggi, di quel periodo?

A distanza di cinque anni posso dire di essere cambiato a 360 gradi. Tutto quello che vivo, oggi, lo vivo al massimo. Cerco di non vedere mai la negatività nelle cose. Non riesco ad accettare il fatto che una cosa sia impossibile. Un modo per riuscire a farla c'è, sempre. Vedo la vita da un'altra prospettiva, non mi arrendo mai in tutto quello che faccio. Certo, è paradossale che questo spirito me lo abbia lasciato in eredità una cosa brutta come un cancro.

Tu hai scelto di parlarne. Per molti, però, la malattia resta un tabù, qualcosa che non si può affrontare in pubblico

 Per tanti è un momento estremamente delicato. Forse alcuni provano vergogna. Altri non vogliono suscitare compassione nella gente, anche se è sempre il primo pensiero di chi vede la tua situazione. Io non ho mai cercato compassione. Ho parlato della mia malattia perché volevo trasmettere un messaggio. In quel periodo vedevo gente che si affliggeva, che non reagiva. Ma sono sicuro che l'80 per cento del problema lo superi con la testa. Se sei predisposto a raggiungere i tuoi obiettivi, tutto è più facile. Certo, anch'io ho vissuto un paio di momenti duri. E quando abbassi la guardia, la malattia ti massacra e non ti lascia via d'uscita. Per fortuna, sono tornato sui giusti binari.

Qual è il messaggio che arriva dagli sportivi che sconfiggono il loro male e tornano alle gare?
 

Piangersi addosso non serve, anzi, ottieni l'effetto contrario. Lo sport ci ha reso determinati a raggiungere gli obiettivi, ma non vorrei che si pensasse che siamo dei supereroi. Siamo anche noi persone in carne ed ossa.