Di Attilio Celeghini. Torino, 7 nov. (LaPresse) – “I 70 anni di Gigi Riva dimostrano che anche lui è umano. Ma solo fuori dal campo: sul terreno di gioco era un giocatore disumano”. Scherza così Sergio ‘Bobo’ Gori, uno dei protagonisti dello storico scudetto del Cagliari 1969-70 e componente del devastante trio d’attacco formato con Domenghini e ‘Rombo di Tuono’. “Innanzitutto i meriti di quel successo vanno al tecnico Scopigno, ai suoi modi nel gestire una formazione che, ricordiamolo, era formata in gran parte da giocatori che provenivano dalla Serie C”, sottolinea Gori a LaPresse. “Il Cagliari, allora, non era una squadra che faceva paura, anche se l’anno prima dello scudetto arrivammo secondi alle spalle della Fiorentina. Gli altri club gli cedevano i giocatori senza pensarci troppo. Nell’estate 1969 io, Poli e Domenghini arrivammo in Sardegna nell’ambito dello scambio che portò Boninsegna all’Inter. Solo Nereo Rocco capì tutto e disse: ‘Ma non capite che con quelle cessioni state consegnando lo scudetto al Cagliari?’ Il ‘Paron’ ebbe ragione”.
“Quella straordinaria annata – prosegue Gori – coincise con la maturazione di una squadra che comunque era già competitiva. Oltre alla qualità dei nuovi innesti, i già presenti migliorarono ulteriormente a livello di esperienza e questo mix, associato alla potenza di Riva, portò allo scudetto”. Anche l’atmosfera che circondava la squadra rivestì un ruolo fondamentale: “In Sardegna non avevamo tante distrazioni. I giocatori avevano piena libertà anche nella vita fuori dal campo. Si respirava serenità, tranquillità. Scopigno – prosegue – lavorava molto sul livello psicologico del gruppo ed assegnava responsabilità ad ognuno di noi”. Stella indiscussa, Riva: “Un giocatore della potenza devastante, capace di finalizzare il lavoro di tutta la squadra”, spiega Gori. “Gigi era nel pieno della sua carriera e della qualità del suo gioco. E’ vero che era il classico attaccante che faceva reparto da solo. Ma oltre ad essere un grande goleador partecipava all’azione, sapeva muoversi come pochi altri in area. Un perfetto concentrato di potenza e tecnica”.
Tutta la squadra giocava per Riva ma nessuno era invidioso di lui. Soprattutto gli altri attaccanti, assicura Gori: “Quel Cagliari vinse anche perché nessuno aveva ambizioni personali. La domenica si lavorava tutti insieme per consentire la finalizzazione di un grandissimo attaccante. Se segnava Riva, eravamo tutti felici perché significava che la squadra aveva lavorato bene”. A partire dagli altri due componenti del trio offensivo, che ‘assistevano’ l’ariete Riva: “Io partivo come seconda punta da mezzo sinistro, Domenghini presidiava la fascia destra. Tatticamente, quel Cagliari era schierato come una squadra di Conte oggi. Ma più che i moduli, che mi sanno tanto di tabelline, la differenza la fa sempre il modo in cui giocatori interpretano i ruoli in campo”. E il Riva fuori dal campo, invece? “Un rapporto bellissimo. Gigi è sempre stato un grande giocatore e un ottimo collega. Non l’ho mai sentito rimproverare una volta un compagno di squadra. Anzi – ricorda Gori – li aiutava, li spronava, li difendeva anche fuori dal campo. Un grande uomo, che sapeva riconoscere i meriti dei compagni”. Un trio come Gori-Domenghini-Riva si potrà mai rivedere in una squadra italiana? “Ogni tanto i giornali esaltano in prima pagina dei giocatori e sorrido. Con tutto il rispetto per loro, non potrebbero nemmeno portare il borsone a Riva. Ma – conclude – non è facile che nascano giocatori come Gigi”.