Sono i calcolatori da un miliardo di miliardi di operazioni al secondo, indispensabili per affrontare temi al top di mobilità, medicina, clima ecc. E si cerca di capire come costruire il necessario sostegno economico a livello europeo

Dopo essersi ben comportata ai tempi del boom dei telefoni cellulari, grazie ad aziende come Nokia, e aver poi perso il treno della successiva rivoluzione della Rete, trainato da giganti statunitensi come Google e Facebook, l'Unione europea punta forte sulla prossima frontiera: quella dei supercalcolatori, i computer capaci di muoversi nell'ordine degli exaflop. Cioè di un miliardo di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo. "I supercomputer sono il motore per alimentare l'economia digitale. La concorrenza è accanita e oggi l'Ue sta rimanendo indietro: nessuno dei nostri supercomputer figura nella classifica mondiale dei primi dieci", ha messo in guardia il vicepresidente della Commissione Ue, Andrus Ansip, presentando l'iniziativa EuroHpc (dove "Hpc" sta appunto per "high performance computing"), che mira a dotare entro il 2020 i ricercatori e gli imprenditori di capacità di livello mondiale in questo settore, con l'obiettivo di sviluppare tecnologie come l'intelligenza artificiale e creare le applicazioni quotidiane del futuro.

"Un'infrastruttura di supercalcolo europea più potente racchiude un grande potenziale per la creazione di posti di lavoro ed è un fattore fondamentale per promuovere la digitalizzazione del settore industriale e per incrementare la competitività dell'economia europea", gli ha fatto eco in mattinata la commissaria Mariya Gabriel, affermando che l'ambizione è quella di arrivare a possedere strumenti di questo tipo entro il biennio 2022-2023. Per questo, è stato annunciato oggi, la Commissione prevede che entro il 2020 saranno investiti in totale un miliardo di euro circa di finanziamenti pubblici, cui si andranno ad aggiungere i contributi dei privati. "Ma la mobilitazione che si prefigura in termini di valore economico complessivo è molto maggiore, nell'ordine dei 4-5 miliardi nei prossimi cinque anni", evidenzia Sanzio Bassini, direttore del dipartimento Supercalcolo di Cineca, il consorzio interuniversitario che rappresenta l'Italia quando si parla di questi temi a livello internazionale, contattato da LaPresse per fare il punto sul piano europeo e sul ruolo che il nostro Paese potrebbe ricoprire.

A partire dalla domanda più scontata: che cosa permette di fare un supercalcolatore? "Parliamo di effetti di traiettoria – spiega Bassini -, ci sono casi scientifici che non si possono affrontare senza una potenza di supercalcolo adeguata: cambiamento climatico, energia e medicina di precisione prima di tutto, ma anche ciò che ha a che fare con l'intelligenza artificiale, come robotica e mobilità". Reti intelligenti per gestire i consumi energetici, sistemi in grado di permettere alle auto di guidarsi in autonomia o di pensare a terapie personalizzate per i pazienti: sono solo alcune delle applicazioni che un supercalcolatore potrebbe tradurre in realtà. Le risorse che dovrebbero essere messe in campo a livello europeo, valuta l'esperto, paiono in linea con quelle erogate da Cina e Stati Uniti, i due grandi competitor globali. Posto che la scala sulla quale si ragiona è continentale, l'Italia potrebbe poi avere un ruolo di primo piano tra i 13 paesi Ue che hanno già dato il loro appoggio all'iniziativa. Cineca ha infatti i requisiti per candidarsi a ospitare almeno uno dei quattro sistemi da 100-150 milioni l'uno che stando ai piani dovrebbero essere acquisiti a livello europeo da qui al 2024. Magari quello da 300-400 petaflop di potenza che dovrebbe essere disponibile tra il 2022 e il 2023.

Altro punto fondamentale è quello del rapporto con l'industria. "Si sta lavorando per un accesso economicamente supportato ai supercalcolatori da parte delle aziende", conferma Bassini, segnalando che il tema è oggetto di incontri anche col ministero dello Sviluppo economico. "E' importante non trasferire soldi in modo non adeguato, altrimenti diventerebbero aiuti di Stato", precisa il direttore, parlando piuttosto di "azioni che prefigurano l'accesso tramite cofinanziamento o con progetti innovativi, lasciando alle imprese soltanto la proprietà intellettuale sui risultati". Un discorso a parte, riguarda poi i fornitori che renderanno possibile la creazione dei calcolatori. "La maggior parte dei technology provider non sono europei, ma l'Europa ha dalla sua una grossa competenza nella progettazione e nello sviluppo dei software", chiarisce Bassini, "l'importante è che i componenti sviluppati sulla base di un valore aggiunto Ue vengano prodotti con ricadute positive nella Ue". Il che non dovrebbe essere un problema, visto che tutti i giganti che potrebbero essere coinvolti, da Intel a Ibm, sono presenti anche in Europa e qui potrebbero avviare la produzione.
 

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