L'attrice di "Alien" e "Avatar" si racconta al pubblico della Festa del cinema di Roma

Abito bicolore e sorriso gentile, Sigourney Weaver è stata protagonista dell'Incontro Ravvicinato del giorno alla tredicesima edizione della Festa del cinema di Roma. Per raggiungere la gremita Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica e incontrare il pubblico che l'attendeva ha sfilato sul red carpet in tutta la sua altezza. Un metro e 82 centimetri. Il motivo, per cui, secondo lei, non è mai stata considerata per i classici ruoli femminili degli anni '70-'80, quelli della "fidanzata di". Una bella fortuna dal momento che la sua è stata una delle carriere più variegate della storia di Hollywood.

Versatile come pochissime altre, Sigourney Weaver ha saputo spaziare dal dramma alla commedia, dal film di denuncia a quello d'azione cambiando sempre volto. Tutti, però, la identificano con un genere perché è lì che ha dato un contributo fondamentale alla storia del cinema: la fantascienza. È stata lei la prima donna ad essere stata candidata all'Oscar per un ruolo in un film sci-fi e lei questo genere lo ama e lo difende con passione. "La fantascienza non è solo effetti speciali – ha spiegato durante l'incontro condotto dal direttore artistico Antonio Monda – è un genere molto sofisticato perché è lì che si pongono le grandi domande sul genere umano. E infatti è molto amato dai giovani perché loro si chiedono più di chiunque altro chi siamo e dove stiamo andando". 

Weaver aveva 30 anni quando venne scritturata da Ridely Scott per Alien, un film destinato a diventare una pietra miliare della storia del cinema. "Ero una sconosciuta – ha ricordato l'attrice – e quindi feci un vero e proprio provino. Venivo dal teatro e quando iniziammo a girare mi mancò molto non andare tutti i giorni in scena: c'era molta improvvisazione e mi saliva il panico perché non ero abituata. È stata una grossa sfida, ma quando ho visto il film ho capito immediatamente che una cosa così non si era mai vista al cinema. Abbiamo fatto qualcosa di incredibilmente innovativo e ne sono molto orgogliosa".

Poi arrivò Ghostbusters e il pubblico fu definitivamente conquistato. "La commedia – ha spiegato, ricordando il film cult – è il genere più difficile da scrivere e da recitare. Penso sia molto sottovalutata: è apprezzata, sì, ma non si capisce quanto lavoro ci sia dietro, quanto sia necessaria una buona chimica tra gli attori quanto tutto debba fluire in modo armonioso. Il casting in questi film è più importante che mai e trovare una buona sceneggiatura di una commedia è rarissimo".

Da Una donna in carriera a Gorilla nella nebbia, fino a Tempesta di ghiaccio, Weaver ha avuto una carriera ricchissima che non ha mai avuto dei momenti di crisi. Aveva 60 anni quando James Cameron l'ha voluta in Avatar, poi diventato uno dei più grandi successi cinematografici di sempre. "James Cameron ha delle idee molto chiari sui personaggi, ti dice sempre precisamente cosa devi fare. Lo sento molto vicino come regista", ha detto. E sui sequel che stanno per arrivare al cinema dice: "Ci siamo divertiti molto a girare Avatar 2 e 3 perché Cameron era riuscito a scrivere l’intera saga e quindi il lavoro è stato più leggero".

Anche se ammette che Hollywood sia entrata in un tunnel di remake e sequel: "I grandi produttori pensano che il pubblico voglia andare solo sul noto, non capiscono che cosa terribile sia spiattellare tuto e ripetere la stessa cosa all'infinito", ha detto e poi, per dimostrarlo ha scelto come film del cuore I segreti di Brockeback Mountain. E quando Monda le ha chiesto perché, l'attrice ha risposto con la voce spezzata dall'emozione e gli occhi lucidi: "È una delle più belle storie d'amore mai raccontate".

Al termine della carrellata della sua carriera, Sigourney Weaver ha fatto un ringraziamento e svelato un rimpianto. "Nessun produttore – ha detto – mi avrebbe mai presa. Devo ringraziare i registi che mi hanno scelta per tutte le mie belle occasioni". Perché gli uomini di Hollywood non sono soltanto i nomi macchiati dal #metoo. "Era ora che le cose cambiassero, è un passo fondamentale per la lotta della qualità del posto di lavoro. Ma l’industria che io conosco desiderava l'apertura alle donne e ora ha tirato un sospiro di sollievo. Il movimentoè stato apprezzato dalla maggior parte degli uomini del cinema, oltre che dalle donne". E il rimpianto?  "Mi sarebbe tanto piaciuto interpretare Julia Child – ha svelato – però il ruolo è andato a Meryl Streep che in Julie&Julia è stata portentosa". 

 

 

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata