Los Angeles (California, Usa), 1 lug. (LaPresse) – Dieci anni senza Marlon Brando. Il ‘Padrino’ del cinema moriva a 80 anni il primo luglio 2004 in un ospedale di Los Angeles. Stella del cinema tra le più brillanti grazie alle capacità attoriali – che hanno trasformato per sempre l’arte della recitazione con una miscela di delicatezza e ferocia, di sensibilità mercuriale e superbia istintiva che ne hanno fatto il più grande attore della sua generazione – fuori dallo schermo è stato un uomo dalla vita tumultuosa che ne ha trasformato la figura in un’icona. Era attraente, di una bellezza mascolina che si è fatta canone e che ne fece un idolo da adorare come Marilyn Monroe o Brigitte Bardot: quella che Stella Adler, grande attrice teatrale statunitense che fu la sua insegnante di recitazione e che gli insegnò il metodo Stanislavskij, definì una “grande avvenenza fisica, che non è solo bell’aspetto, ma quella cosa molto più rara che può essere definita bellezza”.

A un decennio dalla scomparsa di Brando, Hollywood ancora vive alla sua ombra. Il suo nome è diventato un aggettivo per descrivere un certo tipo di attore – giovane, bianco, attraente e talentuoso – che sul grande schermo mostra intensità, eroismo e rabbia, si lascia spezzare dagli eventi per poi risorgere per un trionfo, vero o fittizio. Leonardo DiCaprio, Christian Bale, Daniel Day-Lewis, Michael Fassbender, Ryan Gosling, Johnny Depp (almeno fino alla svolta ‘piratesca’) sono alcuni degli attori che tentano di seguirne le orme, di cercare la sua impronta. Tuttavia Brando aveva un modo unico di unire spavalderia e fragilità, quello di un anti-eroe in conflitto con se stesso.

Nato ad Omaha il 3 aprile 1924, fu candidato all’Oscar per otto volte, vincendo due volte: la prima nel 1955 per il ruolo di Terry Malloy in ‘Fronte del porto‘ di Elia Kazan, la seconda nel 1973 per il ruolo di Don Vito Corleone ne ‘Il Padrino‘. In quest’ultima occasione Brando rifiutò di ritirare il premio personalmente per dissenso contro i maltrattamenti nei confronti dei nativi americani: al suo posto mandò una squaw amerinda che lesse un discorso di protesta.
Ma sono molte le pellicole della sua relavitamente limitata filmografia (solo una quarantina di titoli) ad essere passate alla storia del cinema. A cominciare dal suo esordio del 1950, con ‘Il mio corpo ti appartiene’ di Fred Zinnemann, per proseguire nel 1951 con ‘Un tram che si chiama Desiderio‘ di Elia Kazan, che lo rivolle l’anno dopo per ‘Viva Zapata!‘. E ancora ‘Giulio Cesare‘ (1953), ‘Il selvaggio‘ (1954), ‘Bulli e pupe‘ (1955), ‘Sayonara‘ (1957), ‘Gli ammutinati del Bounty‘ (1962).

Se negli anni Sessanta la sua carriera rallentò, riprese quota nel decennio successivo. Anzitutto grazie a ‘Il Padrino’, e poi nel 1974 grazie al personaggio di Paul, tormentato uomo di mezza età protagonista di ‘Ultimo Tango a Parigi‘, in cui Bernardo Bertolucci gli affiancò Maria Schneider: una delle pellicole più controverse e scandalose per le scene di sesso e per le rivelazioni che seguirono nel corso degli anni. Fu poi Jor-El, il padre di Superman nell’omonima pellicola di Richard Donner del 1978, e soprattutto fu l’autodistruttivo colonnello Walter E. Kurtz in ‘Apocalypse Now‘ di Francis Ford Coppola nel 1979. Questa interpretazione oscura, tormentata e viscerale segnò un punto di non ritorno per Brando che si allontanò dal cinema.

Pur avendo annunciato il ritiro dalle scene nel 1980, prese parte ancora ad alcuni film, tra cui ‘Don Juan DeMarco – Maestro d’amore’ del 1995 e ‘Il coraggioso’ del 1997, entrambi con protagonista Johnny Depp, e nel 1989 riuscì ad ottenere ancora una nomination agli Oscar per la sua interpretazione come avvocato nel Sud Africa dell’Apartheid in ‘Un’arida stagione bianca’. L’ultima pellicola a cui prese parte è del 2001, ‘The Score’ di Frank Oz.

Gli ultimi anni della sua vita furono segnati da problemi personali e tragedie familiari. Soffriva di diabete e ingrassò fino a pesare oltre 130 chili; suo figlio Christian Devi (morto poi di polmonite nel 2008) nel 1990 venne condannato a 5 anni di carcere per l’omicidio del fidanzato della sorellastra Tarita Cheyenne; quest’ultima morì poi suicida nel 1995.
Brando si sposò tre volte e divorziò tutte e tre le volte. Ebbe una quantità di figli: nel 1958 Christian dalla prima moglie Anna Kashfi, da cui divorziò nel 1959; Miko (nel 1961) e Rebecca (nel 1966) dalla seconda moglie Movita Castenada, da cui divorziò nel 1968; Simon Tehotu (nelmn 1963) e Tarita Cheyenne (nel 1970) dalla terza moglie Tarita Teriipaia, da cui divorziò nel 1972. Ebbe poi tre figli dalla relazione con la cameriera Ninna Priscilla (1989), Myles Jonathan (1992) e Timothy Gahan (1994); e altri quattro figli da donne non note: Stephen (1967), Michael (1967) Dylan (1968) e Angelique; adottò poi Petra Brando-Corval, figlia della sua assistente Caroline Barrett nata nel 1972, e altri due figli, Maimiti (nato nel 1977) e Raiatua (nato nel 1982).

E la vita di Brando non smise mai di assomigliare a quella tumultuosa dei suoi personaggi: per questo forse, la morte dell’anziano Don Vito Corleone, stroncato da un infarto tra le piante di pomodoro mentre gioca pacificamente con il nipote Anthony nel giardino inondato di sole, resta una delle scene più poetiche e commoventi della storia del cinema.

Ecco la scena in cui muore il Padrino

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