Domani uscirà il nuovo album del cantautore 'Canzoni della Cupa', che uscirà domani in un doppio cd, Polvere e Ombra

"Questo è un luogo popolare, quasi un luogo di servizio pubblico, che sta sotto i nostri piedi affrettati, un luogo sul quale le lancette dell'orologio si sono fermate e noi intanto continuiamo ad andare. Siamo passati dalla civiltà della terra a quella dell'orologio". Con queste parole Vinicio Capossela presenta l'Albergo Diurno Venezia di Milano, del patrimonio del Fai, dove si è svolta la conferenza di presentazione di 'Canzoni della Cupa', il suo doppio album che uscirà domani. "Apprezzo il fatto che il Fai se ne prenda cura senza modificarlo, spero che nessuno voglia fare una ristrutturazione, è importante che sia aperto e che ci doni questa esperienza di bellezza, non dirompente, non invasiva, che ci mostri che c'è qualcosa sotto i nostri piedi –  continua il cantautore –  è nato per porci al riparo del tempo. La fruizione del tempo qui non è affrettata, è diversa". Il lavoro di 'Canzoni della Cupa' non è diverso da questo posto – spiega Capossela – il mio lavoro si è ratificato nella civiltà della terra, come la chiamavano gli antropologi, che riconosciamo per segnali, che non abbiamo occasione di vivere e di praticare, ma questo patrimonio ci regala un'esperienza di meraviglia, di bellezza e inquietudine. Inquietudine perché l'ombra ci rende perigliosi i passi, possiamo inciampare e cadere".

IL MIO RIFUGIO. "Il tempo della terra è ciclico, stagionale, ma ogni anno ritorna l'estate, l'autunno: questa musica è stata invece un tempo immobile, dove ho cercato a più riprese di rifugiarmici dentro. Le canzoni si sono riprodotte e hanno dato origine a altre canzoni, quelle di Ombra, che sono più autorali. Il pumminale, l'angelo della luce, la bestia del grano, sono tutti soggetti dove la civiltà della terra trova collegamento con archetipi più arcaici" ha raccontato Vinicio.  "Abbiamo creato uno studio mobile nelle pieghe della terra dell'osso e abbiamo ospitato alcuni artisti, come Giovanna Marini, Antonio Infantino, Victor Herrero, la Banda della Posta – spiega Capossela – E abbiamo pensato di trasporre, di dare possibilità a queste radici, di far fiorire nella superficie piante diverse, un cactus, un agave. Abbiamo registrato alcune canzoni anche oltre frontiera, con artisti che le esprimono al meglio, come Flaco Jimenez in Texas, i Calexico nel deserto di Tucson, i Los Lobos dell'altra parte dell'Oceano, tra Messico e California".
 

REGISTRAZIONE MIMETICA. "Il nostro studio di registrazione mobile si chiama Mobilis Immobile. Volevamo uno studio che non ci obbligasse a trasferirci, ma che ci consentisse registrazioni a tutte le ore, senza andare a modificare un modo di lavorare che fosse il più naturale possibile. Questo tipo di lavoro si è integrato con quello effettuato in studio, per esempio negli USA eravamo in uno studio, anche a Cabras. Ma anche in studio erano sempre situazioni familiari, domestiche, una registrazione che definirei mimetica" ha aggiunto l'artista.

 

 

L'ISPIRAZIONE. "Ero attratto dalla musica folk, ma non dal nostro, bensì da quello di Bob Dylan, dei maestri della tradizione, io cercavo una chiave di accesso, cercando di raccontare qualcosa che conoscevo da vicino. La prima chiave di accesso è stata l'opera di Matteo Salvatore (definito da Capossela 'il più grande cantore sullo sfruttamento' ndr.), che all'epoca era ancora vivo: sono andato a trovarlo a casa sua, a Foggia. Un caro amico mi ha tradotto le sue canzoni, fatte in dialetto di Apricena (piccolo comune della provincia di Foggia ndr.), una lingua ostica, aguzza come le pietre, non facile da comprendere. Mi si è svelato un patrimonio di storie di soprusi, ingiustizie, di questo mondo del latifondo meridionale dove convive la superstizione, il lupo mannaro, il soprastante, storie che avevano le radici nell'epoca del fascismo" ha spiegato Capossela.

IRPINIA E FRONTIERA.  "'Canzoni della Cupa' è un disco che ho iniziato 13 anni fa, con alcune registrazioni fatte nel settembre del 2003 a Cabras, sul golfo di Oristano, una natura polverosa, che ricorda un paesaggio western, anche l'alta Irpinia ha una connotazione paesaggistica che rimanda alla frontiera" ha detto il cantautore. "Quelli di Matteo Salvatore sono sonetti dove si trovano arguzie, serenate, cori militari della prima guerra mondialeà sono un giacimento di storie, dove a entrarci dentro ci si meraviglia, ma sono sottratti all'uso. Da questo giacimento ho provato a sottrarre i versi in italiano di alcune canzoni, dandogli la forma della ballata. Abbiamo registrato la prima tornata di canzoni nel 2003, con due violinisti francesi, un cimbalo, mi sono cimentato con la chitarra senza l'ausilio del pianoforte, e un contrabbasso. Questa sessione ha dato origine a questo lavoro ed è rimasta nascosta. Nascoste sono le cose che vogliamo proteggere". 

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