Di Filippo Di Giacomo

Città del Vaticano, 30 ago. (LaPresse) – Durante la visita del re di Giordania, il 29 agosto, in Vaticano non è passato inosservato il galante inchino con il quale Papa Francesco ha accompagnato il suo saluto alla regina Rania. Un gesto certamente assai lontano dalle algide formalità in uso nelle stanze vaticane. I due sovrani sono entrambi ex alunni delle scuole cattoliche, in patria e negli Usa.

Eppure la vera novità, nel caso, consisteva in altro: durante il colloquio tra il sovrano dello Stato della Città del Vaticano e il sovrano del Regno Hascemita di Giordania, davanti al Papa sedevano, con uguale rango, il re e la regina la quale, com’è noto, non ha incarichi di governo. In genere, le consorti e il seguito vengono ammessi solo dopo il colloquio di stato, insieme ai ministri e ai diplomatici che hanno preparato ed accompagnato la visita.

L’abbandono delle rigide consuetudini diplomatiche da parte di Papa Francesco è una “novità” che anticipa, e lascia intravedere, il primo problema che soggiace aI previsto ricambio dei vertici della segreteria di stato vaticana. Nel mondo della diplomazia pontificia serpeggia un forte allarme: lo stile di Papa Francesco, ufficialmente sempre apprezzato anche nelle cancellerie, sta rallentando i tradizionali equilibri di forza che i diplomatici con la talare usano nei rapporti bilaterali e multilaterali. Come dimostrato dall’ormai perdita di peso della Santa Sede nello scacchiere mediorientale, dove invece durante la seconda guerra del Golfo, il Vaticano aveva avuto un ruolo determinante. Basti ricordare il dilemma che la coppia Bush Jr-Rice ponevano, singolarmente, ad ogni Paese alleato: “O sei con noi, o sei contro di noi”.

Un dilemma faticosamente superato proprio grazie all’azione di contrasto che il multilateralimo europeo (che i diplomatici con la tonaca riuscirono a far incardinare sul nascente asse franco-tedesco) oppose al grezzo bi-lateralismo statunitense, coltivato dagli Usa per sfregio alle indicazioni del Palazzo di Vetro, nella Nato e nelle altre agenzie internazionali. La simpatia non fa diplomazia. E un Papa che alza le braccia prima ancora di discutere, rischia la resa dei cristiani che, in tante parti del mondo, sono ostaggi di regimi che uccidono, e secondo stime Ocse, da almeno tre decenni, sono ogni anno centomila. Il secondo problema che il Papa e la nuova dirigenza vaticana dovranno affrontare è chiaramente sottolineato anche dalle non eccelse vicende relative alla successione al cardinale Tarcisio Bertone.

Il cardinale Giuseppe Bertello e l’arcivescovo Piero Parolin sono stati nominati “candidati” a mezzo stampa. Il primo, dagli ambienti curiali che hanno ancora un po’ di memoria dei fasti che la diplomazia vaticana riusciva a vivere fino a due decenni fa, il secondo dagli stessi ambienti che a lungo hanno candidato e certificato (fino a ridicolizzarlo) il cardinale Angelo Scola a successore di Benedetto XVI al soglio di Pietro.

Tarcisio Bertone, benché non appartenesse alla carriera diplomatica, è stato chiamato nel 2006 ai vertici della segreteria di stato perché nel firmamento della diplomazia non brillavano stelle di alcun genere. Dopo quasi sette anni però, il cielo non sembra schiarito.

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