Il membro dei dem parla del futuro del partito in vista dell'assemblea che formalizzerà le dimissioni di Martina

Sabato con l'assemblea che formalizzerà le dimissioni di Martina si apre ufficialmente la stagione congressuale Pd. Arturo Parisi si augura che sia "un congresso vero", dall'esito "aperto e incerto" e non "una conta rissosa con totali già noti".

Che congresso si aspetta? Diciamo meglio quello che mi auguro: un congresso vero. Un congresso nel quale prima agli iscritti e poi agli elettori sia possibile scegliere tra candidati che si propongono tutti in modo credibile a guidare il partito in nome di progetti distinti sulle sfide che stanno di fronte al Paese.

Zingaretti, Minniti, Martina, Richetti, Boccia e Corallo. Si annuncia un congresso tra i più partecipati. E' un bene o un male? Avrebbe preferito si raggiungesse l'accordo per una candidatura unitaria? Scherziamo? Candidatura unitaria? Ancora? Tanto vale non farne nulla. L'anno prossimo saranno quasi dodici anni dalla nascita del Pd. Credo che sia arrivato il tempo di un congresso vero. Non più di semplici conte rissose finalizzate a definire gli addendi di un totale già noto come è sempre accaduto, né appassionate primarie come quelle del 2012 che tuttavia vertevano su una scelta diversa dalla guida del partito. Ripeto: un vero congresso del partito con un esito aperto e incerto, non la sanzione o la misura di un risultato maturato altrove. Un confronto tra linee interpretate da persone, una scelta tra persone che stanno in campo in nome di una linea.

Il fatto che nessuno possa raggiungere il 50% è un rischio? Certo. Ma il rischio non è tanto che il risultato sia privato della forza che può venire soltanto dal mandato diretto di iscritti e elettori, e invece affidato alle trame mutevoli dei capi-corrente. Il rischio è che non si capisca che questo è un passaggio che esige scelte binarie capaci di trasformare il risultato in azioni immediate.

Gentiloni dice che si può dare una mano senza essere numeri uno. Renzi saprà giocare la stessa partita? Quello che conta è che il risultato sia rispettato da tutti come una scelta fatta da tutti. Guai se – come Renzi ama ripetere – il giorno seguente si ritornasse al tiro al piccione contro il chi è stato scelto e il cosa è stato deciso. Ecco perché c'è bisogno di scelte vere e di scelte forti.

Lei voterà? Ha già deciso chi sostenere? Questa volta solo se è un congresso vero. Mi faccia perciò sentire tra chi e tra quali linee sono chiamato a scegliere.

Che Pd serve per recuperare consensi ed essere credibile alle Europee e in generale rappresentare un'alternativa al Governo gialloverde? Sul risultato elettorale è meglio non farsi illusioni e capirsi quale che esso sia. Il mandato affidato al nuovo segretario non può essere che pensato al futuro. Cosa potrebbe mai fare un segretario nel mese che intercorre tra la data al momento ipotizzata per la sua entrata in carica e l'inizio della campagna elettorale europea? Guai se qualcuno pensasse di trasformare il voto europeo in un "giudizio di dio". Non basta il disastro prodotto sul partito dalla lettura superficiale e dalla celebrazione affrettata del 41% del 2014 come se fosse l'annuncio della vittoria finale?

Giusto separare segretario e candidato premier? Questa è appunto una delle scelte principali che stanno al centro del Congresso. Una, né l'unica e neppure la prima. Prima viene la scelta su quale Italia vogliamo, e, dentro questa sull'aspetto istituzionale più adeguato a tenere nel tempo e a rappresentarci nelle sedi europee. Poi su quale tipo di partito può aiutarci a realizzare l'Italia e avvicinare l'Europa che vogliamo. Solo alla fine viene la scelta se sia preferibile che il segretario del partito sia automaticamente quello che proponiamo a guidare il Paese. Guai se questa scelta fosse la prima.

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