Tra i cinque e gli otto miliardi a testa per alimentare le rispettive priorità

Una cosa ormai è chiara: tutto non si potrà fare, al massimo avviare. Come e quanto è il terreno di battaglia su cui da settimane si confrontano Lega e M5s in un tira e molla costante che vede al centro il ministero dell'Economia, impegnato a salvaguardare la tenuta dei conti pubblici con il placet – e il sostegno – di palazzo Chigi e soprattutto del Colle.

Gli uffici dei ministeri e gli economisti delle due forze politiche di governo sono perennemente impegnati a simulare e ipotizzare costi e coperture delle varie misure di una manovra economica che si avvia verso i 30 miliardi di euro, di cui oltre la metà servirà per scongiurare gli aumenti Iva (12,6 miliardi) e le spese indifferibili (3,5 miliardi). Per capire quali sono i margini in cui muoversi bisogna aspettare ancora: la data è quella dell 21 settembre, quando l'Istat diffonderà i dati sul prodotto interno lordo, e si potrà aggiornare il quadro dei conti. Che finirà velocemente nella nota di aggiornamento al Def che il governo deve presentare al Parlamento entro il 27 settembre, insieme al quadro programmatico delle riforme in cui verrà riportato quello che è considerato prioritario tra le pagine del contratto di governo: flat tax, pensioni, reddito di cittadinanza.

Resta da vedere come andrà a finire la lotta sullo spazio che ciascuna troverà nella legge di Bilancio che deve essere pronta tra un mese, entro il 15 ottobre. Per equità, Lega e M5S avranno a disposizione lo stesso 'tesoretto' per alimentare le rispettive priorità, una cifra che varia tra i cinque e gli otto miliardi di euro. Al tavolo del Carroccio si lavora sulla flat tax, che costerebbe circa 5 miliardi di euro nel 2019, e su quota 100, che potrebbe arrivare ad altri 8 miliardi. Sul versante coperture, i leghisti contano sulla pace fiscale, che sperano porti nelle casse dello Stato tra i 3 i 5 miliardi. Ma pure sul bonus degli 80 euro di Renzi, che vale dieci miliardi l'anno e potrebbe essere trasformato andando ad alimentare la flat tax al 15% per le partite Iva fino a 65mila euro e al 20% tra i 65mila e 100mila. Ci sono poi altre misure che hanno bisogno di una copertura immediata per partire come la cedolare secca sugli affitti dei negozi, mentre sembra slittare il taglio dell'Irpef, che avrebbe un costo di circa 4 miliardi di euro con un beneficio tutto sommato relativo per i contribuenti.

Sul fronte pentastellato si cercano di far quadrare i conti per il reddito di cittadinanza, o meglio la pensione di cittadinanza con l'aumento degli assegni minimi a 780 euro: difficile che si arrivi a trovare i dieci miliardi sperati, si ragiona sulla cifra di 7-8 miliardi di euro ipotizzata dai tecnici. Solo il potenziamento dei centri per l'impiego, però, vale 2 miliardi di euro. L'unica copertura individuata è quella del Rei, il Reddito di inserimento del governo Gentiloni che vale poco più di 2,9 miliardi di euro. E il taglio delle pensioni d'oro, sia pure di grande appeal comunicativo, non porterebbe più di qualche centinaio di milioni nel capitolo delle disponibilità. I pentastellati si contendono con i leghisti il tesoretto del bonus Renzi, ma resta la perplessità di fondo sull'opportunità di andare a sfilare quegli 80 euro dalle buste paga. Altre risorse potrebbero venire dalla revisione delle tax expenditures, che tutte insieme valgono 54,2 miliardi di euro, ma che costituiscono un mare magnum in cui è difficile orientarsi e tagliare senza provocare mugugni.
 

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