Roma ha ripetuto più volte di voler agire solo dopo la formazione di un governo a Tripoli

In attesa di indicazioni dal governo di unità nazionale della Libia, che potrebbe essere finalmente votato lunedì prossimo, i militari italiani mettono a punto i 'contingency plans', i piani per ogni eventualità, anche quella – che appare sempre più probabile – di un intervento. L'esecutivo italiano ha ripetuto più volte di voler agire solo dopo la formazione di un governo libico unitario e solo dopo una richiesta da parte di quest'ultimo.

GLI AEREI DI SIGONELLA. Come è emerso nei giorni scorsi, la base siciliana di Sigonella viene al momento utilizzata come punto di partenza di droni, cioé aerei senza pilota. La richiesta di Roma è che i velivoli vengano utilizzati soltanto per le ricognizioni, non per lancio di missili. Per questo motivo, ogni azione deve essere coordinata tra le autorità americane e quelle italiane. Non è un caso che in un recente intervento americano, gli aerei Usa che puntavano su Sabratha siano dovuti partire dalla Gran Bretagna. Ad ogni modo, nel caso in cui arrivasse la luce verde all'utilizzo della forza in Libia, i cacciabombardieri tricolori sono sempre pronti all'intervento.

LE NAVI E I SOLDATI. Attualmente impegnate nelle operazioni di contrasto agli scafisti, le navi della Marina militare di Roma potrebbero fungere da base per un eventuale intervento. Sarebbero coinvolti anche i Marò, diversi paracadutisti tra cui e il IX reggimento 'Col Moschin', punta di diamante dell'Esercito.

IL RUOLO DELL'INTELLIGENCE. Dalla stampa francese e britannica è trapelato che gli 007 dei due paesi sono già in Libia per preparare l'arrivo dei soldati. Dall'Italia viene categoricamente smentita la presenza su suolo libico di nostri militari anche se è risaputo che la nostra intelligence, presente in pianta stabile in quella zona anche per la presenza delle infrastrutture di Eni, stia lavorando in diverse aree. Si tratta di un ruolo di avanscoperta, in vista di una possibile azione. Questa nuova missione fa parte di un cambiamento importante: dalla tutela del settore energia si passa alla preparazione di un intervento. Il numero di militari che potrebbero essere coinvolti in Libia, provenienti da vari Paesi, potrebbe essere di 5mila, ma su questo niente è stato ancora deciso. Fonti qualificate evidenziano che il contingente internazionale non dovrà essere vissuto dai libici come 'forza di occupazione' e per questo i militari agiranno insieme alle forze di sicurezza locali.

SOLDATI COME SPIE. Diverso, e più insidioso, sarebbe l'utilizzo di militari sotto copertura, e senza un via libera parlamentare. E' stato fatto notare che il decreto missioni dello scorso novembre prevede l'utilizzo di militari alla stregua di agenti segreti, senza un voto del Parlamento ma con una semplice informativa. Un emendamento presentato dal Governo, infatti, prevede che il presidente del Consiglio possa "emanare disposizioni per l'adozione di misure di intelligence di contrasto, in situazioni di crisi o di emergenza all'estero, che coinvolgano aspetti di sicurezza nazionale o per la protezione di cittadini italiani all'estero". E la frase, significativamente, si chiude precisando che queste operazioni vengono svolte "con la cooperazione di assetti della difesa". Si prevede poi che il presidente del Consiglio dei Ministri informi il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, meglio conosciuto come Copasir.

IL QUIRINALE: NIENTE FUGHE IN AVANTI. Nonostante indiscrezioni di stampa e voci sempre più insistenti, comunque, anche attorno al presidente Sergio Mattarella si precisa che non ci saranno fughe in avanti. Negli ambienti del Quirinale si sottolinea come il Consiglio Supremo di Difesa, nella riunione di ieri, abbia pienamente confermato la linea espressa in questi mesi dal Governo, con particolare riferimento alla situazione libica, secondo le linee illustrate dal ministro degli Esteri Gentiloni e dal ministro della Difesa Roberta Pinotti. Entrambi hanno ripetuto che, come ha anche evidenziato il Consiglio di sicurezza dell'Onu, un eventuale intervento – che si potrà definire forse come operazione di peace-keeping o peace-enforcing – deve essere varato dopo una richiesta nazionale. Lo schema, per certi versi, è quello della Siria: la Russia è intervenuta solo dopo espressa richiesta di Damasco.
 

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