Roma, 22 ago. (LaPresse) – “In occasione della prossima seduta della Commissione, prevista per il giorno 8 settembre, avanzerò la richiesta formale per l’apertura di un fascicolo di indagine in merito alla morte di Paola Clemente“. Lo rende noto la senatrice del Pd, Camilla Fabbri, presidente della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro in merito al caso della bracciante di San Giorgio Jonico, deceduta mentre lavorava alla acinellatura dell’uva nelle campagne di Andria.

“In questi ultimi giorni – aggiunge la senatrice Fabbri – abbiamo registrato una polemica che dovrebbe essere evitata, soprattutto in relazione ad un evento così drammatico che chiama in causa un tema, quello della sicurezza sul lavoro, che merita da parte di tutte le forze politiche e le istituzioni il massimo sforzo unitario. Bene ha fatto il ministro Martina a ricordare la Rete del lavoro agricolo di qualità che, da settembre, renderà responsabile anche il consumatore, coinvolgendolo nella lotta al lavoro irregolare che, per essere vinta, richiede una rivoluzione culturale in tutto il tessuto sociale. In Italia – spiega- esiste già un apparato legislativo che basterebbe applicare: è previsto il reato di caporalato, rispetto a cui è fondamentale, perché sia accertato, un controllo ispettivo coordinato e capillare, cioè un’agenzia nazionale unica che, come abbiamo proposto nella relazione di aprile della Commissione approvata anche in Senato, si articoli in gruppi mirati di controllo sul territorio, in particolare nelle zone in cui è diffuso il lavoro stagionale ed è presente il crimine organizzato”.

“Il decreto legislativo 231 – prosegue la presidente della Commissione di inchiesta sugli infortuni sul lavoro – già prevede la revoca dei finanziamenti pubblici ad aziende che non rispettano le leggi in materia di sicurezza, così come è già disposta, secondo l’art. 14 del Testo unico per la sicurezza sul lavoro, la sospensione dell’attività di impresa in caso di occupazione irregolare e di recidive violazioni delle norme”.

“Si possono anche introdurre nuovi reati e inasprire le pene – afferma – ma la vera emergenza è far rispettare le leggi esistenti attraverso i controlli ispettivi. La proposta di equiparare il caporalato al reato di mafia, con conseguente applicazione del 416 bis – conclude – merita una riflessione profonda: trattandosi di reato associativo doloso, infatti, è ancora più difficile da accertare del reato di caporalato, quindi presenta una maggiore difficoltà probatoria, risultando per altro incompatibile con il quadro degli incidenti sul lavoro che hanno natura colposa”.

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