Di Fabio De Ponte

Roma, 4 mag. (LaPresse) – “L’Italicum italiano non ha nulla a che fare con i sistemi elettorali vigenti negli Usa, nel Regno Unito e in generale nei paesi anglosassoni. Il premio di maggioranza non esiste da nessuna parte, né nel sistema americano, nè in quello di Regno Unito, Canada, Australia, né in Francia o in Germania”. A spiegarlo a LaPresse è Massimo Teodori, ex presidente della fondazione Italia-Usa, autore di numerosi saggi proprio sul rapporto tra i due Paesi, materia che ha insegnato per quasi trent’anni all’università di Perugia, all’attivo anche lezioni alla California University, alla Columbia e ad Harvard. Ex deputato ed ex senatore eletto tra le file dei radicali, negli anni coinvolto in diverse battaglie sui temi dei diritti civili, sull’antimafia e su stragi e terrorismo. Secondo lui il premio di maggioranza è un’anomalia tutta italiana.

Domanda: Allora cosa garantisce in quei Paesi la stabilità? R: “Negli Usa c’è il sistema uninominale, in ogni collegio vince chi prende più voti, punto e basta. La prevalenza dei candidati di un partito sull’altro deriva tutta dal confronto uno contro uno. Non c’è nulla di nazionale, c’è solo l’uno contro uno in un collegio territorialmente definito. Invece il sistema dell’Italicum e del Porcellum, che dà il premio di maggioranza al primo o al secondo turno, si basa tutto su un conteggio nazionale e non ha nulla a che fare col confronto tra due persone, ma solo tra i partiti”.

D: Ma perché il sistema Usa è stabile? R: “E’ stabile per due ragioni: il sistema bipartitico Usa è consolidato da una tradizione di due secoli e funziona perché c’è l’uninominale, che comincia dal presidente. Deputati, senatori, sindaci, presidente, tutti sono eletti con l’uninominale. Anche in Francia il bipartitismo è stato un frutto dell’uninominale, poi consolidato dal presidenzialismo. In un sistema uninominale non ci può essere altro che il fatto che uno vince e gli altri, che hanno perso, si coalizzano per batterlo. Col Mattarellum eravamo andati in quella direzione, ora torniamo indietro”.

D: Però negli Usa, così come in Francia, può avvenire che il Parlamento esprima una maggioranza opposta al presidente. Non può sfiduciarlo, ma può bloccarlo.

R: “Devono essere conflittuali. Il Congresso controlla il presidente, per questo sono due elezioni dirette anche in Francia. Il punto fondamentale è che tutti i sistemi a governo forte, quello americano, quello francese, quello tedesco, anche se in quest’ultimo la stabilità è garantita da un meccanismo diverso, quello della sfiducia costruttiva, sono sistemi in cui c’è anche un Parlamento forte. In Italia invece quello che si crea è un Parlamento che è un’appendice del Governo, questa è l’anomalia del sistema che si sta mettendo in piedi. Creare un governo forte comporta necessariamente avere un Parlamento che abbia una forza di contraltare”.

D: Qual è il rischio?

R: “Non ci sta che una stessa maggioranza, con un partito che prenda il 30%, magari del 60% degli elettori, cioè il 20% degli italiani, crei un Governo, e abbia un Parlamento dipendente dal Governo, con numeri che gli consentono facilmente di nominare membri di Csm, Consulta e presidente della Repubblica. Questo crea una impalcatura costituzionale che non ha le caratteristiche del mondo liberaldemocratico”.

D: Ha ragione chi ricorre agli esempi della legge Acerbo e della legge ‘truffa’? R: “No, su questo punto c’è un equivoco. Questa legge non ha nulla a che fare con la legge Acerbo o con la legge truffa. Nella Acerbo del 1924 la maggioranza che andò a premiare il listone fascista non faceva altro che rafforzare una maggioranza già esistente. Anzi, alla fine, visto che stravinsero dappertutto, i fascisti presero meno seggi di quelli che avrebbero preso col proporzionale. Mentre nel 1953, per ottenere il premio di maggioranza, la coalizione dei partiti apparentati tra loro doveva ottenere il 50% più uno dei voti. Insomma la legge rafforzava la maggioranza nella sua presenza in Parlamento, dandole il 63% alla Camera, ma la maggioranza di fatto già esisteva nel voto popolare. Bisognava comunque prendere almeno la metà dei voti. Qui il fatto abnorme è che un partito che prende il 25% al secondo turno può avere 340 seggi”.

D: Almeno però con la nuova legge tornano a essere gli elettori che scelgono i propri rappresentanti.

R: “Anche qui c’è un altro equivoco. Gli eletti designati dai partiti, cioè i capilista, sono la grandissima maggioranza. Il partito che prende il premio di maggioranza ha, su 340, 100 designati e 240 eletti con le preferenze. I restanti seggi, 290, sono tutti designati, perché di tutti i partiti perdenti possono essere eletti solo i primi in ogni circoscrizione.

Quindi in una Camera di 630 seggi, solo 240 sono quelli eletti con le preferenze, gli altri saranno tutti nominati”.

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