Esulta il governo di Conte, che incassa un cospicuo bottino di voti parlamentari. Opposizioni deluse

La nota di aggiornamento del Def passa alla Camera e al Senato. Deluse le opposizioni, che avevano affidato ai loro "pesi massimi" dell'economia critiche senza appello: Renato Brunetta per FI e Pier Carlo Padoan per il Pd hanno prospettato rischi gravissimi che potrebbero arrivare dal maggior deficit e dalle bordate che quotidianamente partono verso Bankitalia e Commissione europea. E molti hanno visto con allarme l'annuncio di tagli dei fondi all'editoria.

Ma il governo guidato da Giuseppe Conte, che rivendica come l'Italia non sia considerata fattore di rischio né dal segretario al Tesoro Usa né da Jp Morgan, incassa un cospicuo bottino di voti parlamentari: la nota al Def viene promossa con 331 deputati e da 161 senatori. Certo, gli esperti del pallottoliere parlamentare notano come si sono persi alcuni "pezzi" di maggioranza (15 a Montecitorio e 6 a Palazzo Madama). Ma, viste le assenze più o meno giustificate, si può parlare di dinamiche fisiologiche.

La novità più importante viene annunciata da Stefano Patuanelli, capogruppo pentastellato al Senato: le due misure bandiera della manovra, cioè il reddito di cittadinanza e la quota 100 per le pensioni, saranno realizzate "dopo il primo trimestre" dell'anno prossimo. Viene quindi posta una croce sul calendario che finora era rimasto piuttosto indefinito: si partirà dopo marzo 2019.

Per quanto riguarda le altre norme da varare nella "economia del cambiamento", la risoluzione di maggioranza approvata al Senato, simile a quella della Camera, elenca una serie di impegni, talvolta dettagliati ma spesso generici: potenziare gli investimenti sull'intelligenza artificiale; diminuire i fondi pubblici per l'editoria; rivedere e ridurre le spese militari; istituire una cabina di regia al Mef per la spending review.

Viene anche posto l'accento sulle autonomie, "continuando il percorso che dà seguito al referendum di Lombardia e Veneto". Si impegna poi il governo ad una sostanziale riduzione, di 9 punti percentuali, dell'aliquota Ires sugli utili. E viene chiesto un taglio Ires ancora più consistente, dal 24 al 15%, sugli utili di quelle imprese che li reinvestono in acquisto di macchinari e attrezzature innovative, così come in nuove assunzioni.

Tanto alla Camera quanto al Senato si è fatta notare l'assenza del ministro dell'Economia Giovanni Tria (giustificata vista la missione a Bali per un incontro del Fmi). Così, nell'aula di Montecitorio, il protagonista è diventato il ministro degli Affari europei Paolo Savona, che ha così celebrato una "riscossa" (quando si era fatto il suo nome per il Mef, arrivò il veto del Quirinale).

Savona ha difeso la bontà di un approccio quasi "keynesiano", invitando le opposizioni a costruire tutti assieme un "new deal". E se il vicepremier Di Maio ha ribadito che l'Italia resterà in Europa, allontanando il cupo piano B di uscita dall'Euro, Savona ha difeso la chiarezza "geometrica" una manovra, che lo fa andare "a dormire tranquillo la notte, perché il futuro sarà migliore".
 

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