La Consulta ha deciso che quanto è successo trova spiegazione in una serie di circostanze che hanno portato alla compressione dei tempi ma senza la necessaria "manifesta gravità".Monito a abbandonare "queste modalità decisionali"

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal Pd sull "procedura compressa" che ha portato all'approvazione del Bilancio dello Stato praticamente senza passaggio in commissione e con poche ore di discussione anche in aula.

Il ricorso denunciava la grave compressione dei tempi di discussione del Ddl, che avrebbe svuotato di significato l'esame della Commissione Bilancio e impedito ai singoli senatori di partecipare consapevolmente alla discussione e alla votazione. La Corte ha anzitutto ritenuto che i singoli parlamentari sono legittimati a sollevare conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale in caso di violazioni gravi e manifeste delle prerogative che la Costituzione attribuisce loro. La contrazione dei lavori per l'approvazione del bilancio 2019 è stata determinata da un insieme di fattori derivanti sia da specifiche esigenze di contesto sia da consolidate prassi parlamentari ultradecennali sia da nuove regole procedimentali. Tutti questi fattori hanno concorso a un'anomala accelerazione dei lavori del Senato, anche per rispettare le scadenze di fine anno imposte dalla Costituzione e dalle relative norme di attuazione, oltre che dai vincoli europei. In queste circostanze, la Corte non riscontra nelle violazioni denunciate quel livello di manifesta gravità che, solo, potrebbe giustificare il suo intervento.

La Consulta, però, nella sua pronuncia, lancia anche un avvertimento chiaro sulla compressione dei tempi. "Resta fermo che per le leggi future simili modalità decisionali dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità" si legge nella nota.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata