di Claudia Mingardi

Torino, 6 mag. (LaPresse) – Un evento per il centenario della Grande guerra, per capire perché è così importante ricordare. Il convegno dal titolo ‘Italiani alla guerra – A cent’anni dalle radiose giornate di maggio’ si svolgerà sabato 9 maggio a Torino, presso la sala dell’Auditorium della Città Metropolitana, con la presenza di esperti e ospiti d’eccezione come la ministra della Difesa, Roberta Pinotti.

All’evento, organizzato dalla Fondazione Carlo Donat-Cattin, in collaborazione con Torino Metropoli, interverrà, tra gli altri, il professore Bartolo Gariglio, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Torino, che aprirà una finestra su ‘Il mondo cattolico torinese’.

DOMANDA. Professor Gariglio, perché è così importante ricordare il centenario della Grande guerra?

RISPOSTA. La prima guerra mondiale è stato il primo conflitto che ha coinvolto totalmente la popolazione e questo è un elemento che ha mutato profondamente il nostro mondo e la nostra società. La mobilitazione delle masse popolari, attive al fronte e nel settore della produzione bellica, e la partecipazione delle donne hanno permesso alle classi sociali inferiori di acquisire una maggiore consapevolezza di sé e di uscire dall’isolamento, come è accaduto ad esempio ai contadini. Un cambiamento fondamentale gestito positivamente da alcuni Stati, che hanno avuto così la possibilità di crescere ed evolversi. Un po’ meno dall’Italia, che alle richieste delle classi popolari ha risposto mettendo in atto diverse forme di repressione.

D. Da quel conflitto quali lezioni ha imparato il nostro Paese? Quegli insegnamenti sono vivi ancora oggi?

R. Gli insegnamenti derivanti dalla guerra purtroppo sono stati dimenticati nell’immediato e infatti 20 anni dopo abbiamo commesso l’errore di partecipare a un conflitto ancora più tragico del precedente. A quel tempo non si meditò abbastanza sulla guerra e su tutto quello che comporta. Oggi, avendo superato ben due conflitti mondiali, siamo in grado di riflettere di più su questo tema e di comportarci di conseguenza. Abbiamo valorizzato gli internazionalismi, rimesso al centro delle discussioni le tematiche della pace e dell’antimilitarismo e siamo maggiormente disposti a cedere parte della sovranità agli organismi sovranazionali pur di mantenere ordine e stabilità.

D. Il 24 maggio segna la data d’inizio delle operazioni belliche del nostro esercito. Un esercito che ha dovuto patire sofferenze e sconfitte, ma che alla fine è riuscito a uscire vittorioso. L’Italia di oggi è abbastanza forte per superare le battute d’arresto? Qual è la prima cosa contro cui il nostro Paese deve combattere?

R. L’Italia uscì vincitrice dalla prima guerra mondiale ma non riuscì ad acquistare la giusta consapevolezza di sé e del ruolo che avrebbe dovuto assumere nello scacchiere mondiale. Questa fu la vera tragedia e anche adesso una delle sfide maggiori per il nostro Paese è quella di comprendere i propri punti di forza e di porsi come elemento pacificatore all’interno delle organizzazioni internazionali. Oltre a questo, oggi ci sono molteplici difficoltà da affrontare che non provengono solo dall’esterno: l’integralismo e il terrorismo vanno di pari passo con gli egoismi nazionali, i comportamenti miopi e le difficoltà a cedere sovranità all’interno delle istituzioni internazionali.

D. Qual è stato il ruolo del mondo cattolico nel dibattito tra interventisti e neutralisti? E di quello torinese?

R. Il dibattito tra interventisti e neutralisti nel mondo cattolico fu molto acceso e marcato. La Santa Sede, ad esempio, si era espressa in maniera netta con Benedetto XV e la sua enciclica ‘Pacem Dei Munus Pulcherrimum’, dedicata proprio alla pace e alla riconciliazione. E infatti quasi tutti i cattolici nel dibattito si schieravano su posizioni neutraliste. Torino e il Piemonte, poi, avevano delle tendenze neutraliste ancora più accentuate, per la presenza di un contesto storico-sociale peculiare: vi erano un forte movimento socialista, la tradizione giolittiana e il quotidiano ‘La Stampa’, tutti elementi che spingevano verso un orientamento neutralista. Addirittura nel mondo cattolico piemontese ci furono componenti che andarono oltre il neutralismo, facendosi portavoce di dichiarazioni antimilitariste e pacifiste attraverso la rivista ‘Il Savonarola’.

D. Rispetto a quell’epoca, la Chiesa di oggi è più o meno in grado di far sentire la propria voce contro la guerra? Come si sta comportando papa Francesco su questo fronte?

R. La Chiesa di oggi sta seguendo con convinzione una direzione spirituale e ha una posizione di autorevolezza sempre maggiore in questo ambito. Contro la guerra la sua voce è oggi più sentita e più forte. Basti pensare che molti cattolici hanno riscoperto l’importanza della teologia della pace, che si va sempre di più verso tendenze ecumeniche e ci si avvicina ad altre posizioni religiose sensibili alle tematiche pacifiste. A tutto questo si aggiunge il contributo fondamentale del mondo laico, che si esprime attraverso le voci degli intellettuali e in cui le stesse istituzioni internazionali giocano un ruolo molto importante nel cercare di arginare i conflitti.

Papa Francesco, su questo fronte, si sta muovendo in modo molto positivo, denunciando a viso aperto gli assassini e gli autori di qualsiasi violenza. Il pontefice, inoltre, si è fatto più volte portavoce di una difesa di tipo universalistico, verso tutto il mondo cristiano, non solo quello cattolico. Una difesa contro tutte le violenze, che spesso nascono solamente dall’ignoranza e da posizioni pseudo religiose.

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