Dino Amenduni traccia un'analisi della comunicazione adottata dai principali attori protagonisti della campagna elettorale in Emilia Romagna e fotografa lo stato di salute di Pd, Lega e M5S

Dalle falle nella Bestia al revival della 'stagione dei sindaci' di Stefano Bonaccini. Dino Amenduni, responsabile nuovi media di Proforma, traccia un'analisi della comunicazione adottata dai principali attori protagonisti della campagna elettorale in Emilia Romagna e fotografa lo stato di salute di Pd, Lega e M5S.

DOMANDA Se dovesse dare un voto alla comunicazione di Bonaccini, Salvini, Borgonzoni?

RISPOSTA Bonaccini 7 e mezzo, Salvini 5 e mezzo, Borgonzoni senza voto.

D. Ci spieghi il motivo.

R. Bonaccini ha fatto due cose giuste perché necessarie. La prima, ha enfatizzato la dimensione personale, sapendo di avere tassi di consenso alti, pari al 50-55%, a differenza di Lucia Borgonzoni che si attestava al 30-38%. In questo modo si è sfilato dalla campagna elettorale improntata sul nazionale raccontata dai mass media e ha puntato sulla sfida con Borgonzoni, cioè sulla dimensione reale del voto. Così ha recuperato un 17% di consensi dagli astenuti delle elezioni europee. In secondo luogo ha ridotto moltissimo gli interventi sui temi che non fossero temi locali. Ha messo la campagna elettorale dove voleva lui.

D. E il leader della Lega?

R. La cosa positiva è che con la sua polarizzazione ha evitato che il margine di vantaggio di Bonaccini fosse maggiore. Ma ha commesso due errori. Primo, il macromessaggio era fuori fuoco. Dire 'liberiamo l'Emilia Romagna', cioè replicare il messaggio usato per l'Umbria due mesi prima, è stato sbagliato. In Emilia non sono scontenti dell'amministrazione, quel l'idea non è nella testa e nel cuore di quegli elettori. Il secondo errore è rappresentato da alcuni episodi fuori scala che hanno vanificato il suo lavoro. Ha esagerato, come la scena del citofono. In Emilia Romagna l'integrazione c'è, ha sbagliato obiettivo.

D. Nessun giudizio sulla candidata presidente del centrodestra

R. Direi impalpabile. Borgonzoni non è pervenuta. Non ha nemmeno provato a fare qualcosa di diverso da Salvini, neppure sui social network il suo messaggio si è differenziato. Il lavoro di Salvini andava accompagnato da toni più moderati. E' sembrato quasi che lo stesso Salvini ritenesse di doverla nascondere. Questo può non aver convinto una parte dell'elettorato di centrodestra.

D. Il linguaggio di Bonaccini è molto diverso da quello di Renzi e, in parte, anche da quello di Zingaretti. E' uno stile vincente?

R. Il discorso finale di Bonaccini è la continuazione di quello usato nella campagna elettorale ed è un mix di tre cose. Uno, il concetto di pragmatismo: prima governare bene, poi comunicare. Bonaccini ha ristabilito il primato della politica sulla comunicazione. Ricorda la buona scuola di amministrazione propria dell'Emilia Romagna e la stagione dei sindaci di centrosinistra, da Gori a Nardella, De Caro e Sala. E adesso anche Pizzarotti. Due, ha rivendicato l'orgoglio del modello Emilia Romagna. Si è presentato come figlio di quella tradizione. Terzo, non ha accentuato una polarizzazione negativa. Non ha puntato sulla paura, ma sulla partecipazione e sulla buona politica

D. La Bestia ha subito una battuta d'arresto, deve cambiare?  

R. La sensazione è che Salvini e Luca Morisi abbiano solo uno stile di comunicazione, sia che vincano sia che perdano. Ma non è detto che quanto va bene per il Nord vada bene anche al Sud. Devono decidere se tenere quel modello, accettando a priori di avere sempre una quota di sconfitti, oppure di adattarlo ai casi. La sensazione però è che abbiano un solo registro. Il rischio è che dopo un po' possa annoiare e che superi il dato di realtà. Quella è la migliore retorica solo se dall'altra parte si governa male. Ma se si governa bene, come nel caso dell'Emilia di Bonaccini, si risulta essere scollegati dalla realtà.

D. Un giudizio sulla comunicazione Cinquestelle.

R. Nell'ultimo anno e mezzo è rinato il bipolarismo. La cosiddetta 'terza via' di Di Maio è più un'opzione di riserva che non viene scelta. Il M5S deve marcare dei punti nelle elezioni locali per non sembrare perdente. E poi risolvere la questione del fuoco amico. Ormai è sui giornali più per le divisioni interne che per le cose che fa.

D. Fa bene il Pd a modificare il nome?  

R. Non è la priorità, è come se un negozio che non va tanto bene cambiasse l'insegna. Il Pd deve decidere cosa vuole essere. Per intenderci, vale ancora il modello Minniti o si va verso Elly Schlein?

D. Il centrosinistra può ripartire dal modello Emilia Romagna?  R. Il modello Emilia Romagna è difficilmente replicabile, è un mix di buon governo e di forte tessuto sociale. Il Pd ora è al governo quindi deve fare quello che promette: via i decreti Sicurezza, ridurre l'Irpef, migliorare i trasporti pubblici. E concentrarsi su alcuni nodi: diminuire la diseguaglianza tra ricchi e poveri, affrontare la solitudine delle persone e le periferie abbandonate.

 

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata