Tunisi (Tunisia), 25 nov. (LaPresse) – In Tunisia il prossimo 28 dicembre si andrà al ballottaggio delle elezioni presidenziali fra il leader del partito laico Nidaa Tounes Beji Caid Essebsi e il presidente uscente Moncef Marzouki del partito Congresso per la repubblica (Cpr). È quanto confermano i risultati ufficiali preliminari delle elezioni di domenica, diffusi oggi dall’organismo indipendente che ha organizzato il voto, l’Isie (Instance supérieure indépendante pour les élections).

Secondo i dati ufficiali, lo stacco fra i due candidati è meno marcato di quanto prevedessero gli exit poll, dunque il secondo turno potrebbe ancora essere una sfida aperta. Stando all’Isie, al primo posto è arrivato Essebsi con il 39,46%, al secondo Marzouki al 33,43% e al terzo Hamma Hammami del Fronte popolare con il 7,82% dei voti. Quarto invece Slim Riahi al 5,5%, leader dell’Unione patriottica libera (Upl).

In vista delle nuove elezioni, dunque, i due candidati che si sfideranno cominceranno a corteggiare gli esclusi per assicurarsi i consensi, e in particolare Hammami che è il primo degli esclusi. Il voto sembra essere una scelta fra i timori sulla sicurezza e le libertà portate dalla rivoluzione, con l’87enne Essebsi che rappresenta la stabilità del vecchio corso e Marzouki che incarna più il fervore della rivoluzione. A maggior ragione visto che il partito Nidaa Tounes ha accolto al suo interno molti ex benalisti, motivo questo di frequenti critiche.

In Tunisia il potere principale resta in mano al primo ministro, ma la presidenza ha alcune importanti responsabilità come quelle dei settori di Difesa e Affari esteri. Il nuovo governo, però, non è ancora stato formato dopo le elezioni legislative dello scorso 26 ottobre e le opzioni in merito restano aperte. Alle legislative ha vinto Nidaa Tounes, ma secondo partito è risultato Ennahda, con cui Nidaa aveva sempre detto di non volersi alleare. Molti hanno sollevato il timore che un governo a maggioranza Nidaa Tounes, insieme alla presenza di Essebsi al palazzo di Cartagine, possa segnare un ritorno alla concentrazione di potere in un unico partito.

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