Il presidente palestinese chiama il Papa, Putin, Macron e il re di Giordania. Hamas: "Superata la linea rossa"

Donald Trump ha deciso: intende trasferire l'ambasciata Usa in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. E lo ha annunciato personalmente a diversi leader del Medioriente in una serie di chiamate: ha telefonato, fra gli altri, al presidente palestinese Mahmoud Abbas il quale, secondo il portavoce Nabil Abu Rdainah, lo ha "avvertito delle conseguenze pericolose che una decisione del genere avrebbe sul processo di pace e su pace, sicurezza e stabilità della regione e del mondo". Dopo avere sentito Trump, Abbas ha parlato al telefono con il Papa, con i presidenti di Russia e Francia e con il re di Giordania, e "li ha invitati a intervenire per evitare" che si concretizzi l'intenzione dichiarata da Trump. E secondo il Cremlino il presidente russo Vladimir Putin ha detto ad Abbas che Mosca sostiene una ripresa dei colloqui fra israeliani e palestinesi, anche sullo status di Gerusalemme. 

Durop il leader di Hamas, Ismail Haniye, che descrive l'intenzione degli Usa come "una provocazione" che "oltrepassa ogni linea rossa".

Un annuncio di Trump in merito, secondo fonti Usa, potrebbe arrivare a breve. Le fonti, pur sottolineando che ancora non è stata presa alcuna decisione definitiva, ritengono che Trump rinvierà nuovamente il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, ma dichiarerà che intende farlo e annuncerà che gli Usa riconoscono Gerusalemme come capitale di Israele. Si tratterebbe della rottura della tradizionale posizione politica Usa portata avanti da decenni, secondo cui lo status di Gerusalemme va deciso nei negoziati. Israele ha preso il controllo di Gerusalemme Est nella guerra del 1967 e successivamente l'ha annessa dichiarando sua capitale l'intera città di Gerusalemme, che è città sacra per musulmani, ebrei e cristiani; la dichiarazione, però, non è stata riconosciuta a livello internazionale e i palestinesi rivendicano Gerusalemme Est come capitale del loro futuro Stato.

Oltre che Abbas, Trump ha chiamato anche il re di Giordania e il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, i quali si sono uniti al coro di voci che da stamattina avvertivano il presidente Usa delle ripercussioni che il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme rischia di avere in tutta la regione. Al-Sisi, ha fatto sapere la presidenza dell'Egitto, ha detto a Trump che non serve "complicare" la situazione in Medioriente e lo ha messo in guardia "dall'adottare misure che minino le possibilità di pace in Medioriente".

Anche il re del Marocco Mohammed VI, in qualità di presidente del Comitato Al Qods, ha rivolto un messaggio al presidente Usa, in cui esprime la sua "profonda preoccupazione personale nonché la grande inquietudine degli Stati e dei popoli arabi e musulmani" a seguito delle informazioni sull'intenzione di Trump stesso di "riconoscere Al-Qods come capitale di Israele e di trasferirvi l'ambasciata degli Stati Uniti". Al Qods è il nome arabo della città di Gerusalemme e il Comitato Al Qods è una struttura panaraba dell'Organizzazione della cooperazione islamica, che ha l'obiettivo di tutelare il carattere arabo-musulmano della città, che è sacra per musulmani, ebrei e cristiani. "Sono lieto di rivolgermi a lei in qualità di presidente del Comitato Al-Qods dell'Organizzazione della cooperazione islamica, che conta 57 Stati che rappresentano più di un miliardo di cittadini", scrive Mohammed VI. Il re del Marocco avverte, poi, che l'eventuale mossa degli Usa potrebbe compromettere il processo di pace in Medioriente: "Dalla vostra investitura avete dato prova di una forte volontà e di una ferma determinazione a rilanciare il processo di pace fra le parti palestinese e israeliana e avete intrapreso passi promettenti in questo senso, con il sostegno continuo della comunità internazionale, compreso il regno del Marocco", dichiara il re marocchino, aggiungendo però che "il passo attuale è suscettibile di avere un impatto negativo sulle prospettive di una soluzione giusta e globale al conflitto palestino-israeliano, dal momento che gli Stati Uniti sono uno dei principali sponsor del processo di pace e godono della fiducia di tutte le parti".

La Casa Bianca, inoltre, ha fatto sapere che il magnate ha in programma di sentire anche il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Nessuna precisazione, invece, sulla tempistica prevista dall'amministrazione Usa per il trasferimento della sede diplomatica.

© Copyright LaPresse - Riproduzione Riservata