Johannesburg (Sudafrica), 25 ago. (LaPresse/AP) – Polemiche e accuse reciproche dominano la scena sindacale in Sudafrica dopo la strage dei minatori. I leader dei principali sindacati temono di essere l’obiettivo di un complotto contro il movimento operaio sudafricano, ma le più recenti formazioni sindacali accusano le più consolidate di di collusione con le compagnie minerarie. La vicenda potrebbe condizionare il futuro del presidente del Sudafrica Jacob Zuma e del suo partito, l’African National Congress (Anc). La scorsa settimana 34 minatori in sciopero sono stati uccisi dalla polizia in un conflitto a fuoco che ha ferito altre 78 persone. L’incidente ha scioccato la nazione che pensava di aver superato le violenze con la fine dell’apartheid nel 1994. Altre dieci persone erano state uccise solo la settimana precedente, tra cui due agenti di polizia, finiti a colpi di machete da dimostranti che hanno anche bruciato vive due guardie di sicurezza delle miniere. “Gli eventi possono rivelarsi uno spartiacque nel declino dell’African National Congress, della sua legittimità nazionale e del mantenimento del potere politico” sostiene Nicolas van de Walle, professore di politologia alla Cornell University in Ithaca (New York) e autore di ‘African Economies and the Politics of Permanent Crisis’.

La strage è avvenuta nel corso dello sciopero alla miniera di platino di Lonmin nel Marikana, sostenuto dal nuovo sindacato Association of Mineworkers and Construction Union (Amcu), che ha raccolto in pochi mesi decine di migliaia di adesioni, e tenta ora di scalzare il National Union of Mineworkers (Num), sindacato di lungo corso e con agganci politici. L’Acmu accusa la rivale di non fare più pressioni significative per ottenere salari più alti e condizioni di lavoro migliori, perché la sua dirigenza è troppo radicata nel governo ed è più interessata ad ingraziarsi le grandi imprese minerarie.

I sindacati più vecchi, che hanno svolto un ruolo fondamentale nella lotta contro l’apartheid, stanno cercando di riaffermarsi. Zwelinzima Vavi, segretario generale del Congress of South African Trade Unions, ha parlato ieri della necessità di “sconfiggere i sindacati dissidenti fasulli e i loro sostenitori politici e finanziari”. L’accusa di Vavi è che lo sciopero selvaggio indetto dall’Acmu, definito sindacato “parvenu”, per l’ottenimento di salari più alti contro la Lonmin, faceva parte di “una strategia politica coordinata” che usava intimidazione e violenza “per dividere e indebolire il movimento sindacale”. L’Acmu ribatte invece di non essere legato ad alcun partito politico, sostenendo che invece l’affiliazione del Num al partito di Zuma lo stia portando alla rovina. Secondo Joseph Mathunjwa, il presidente dell’Acmu, negli anni, il Num ha goduto del monopolio quasi totale delle miniere, ma ora che è troppo politicizzato e vicino all’Anc per rappresentare adeguatamente gli interessi dei minatori.

Sin dalle prime elezioni democratiche del 1994, il Sudafrica è diventato il paese più ricco del continente, ma della ricchezza hanno beneficiato solo i bianchi che continuano a controllare l’economia e una piccola nuova elite di colore, mentre le maggior parte dei suoi 48 milioni di cittadini continuano a combattere le disoccupazione, la carenza di alloggi e la scadenza dei servizi.

Il professore Van de Walle vede una ricaduta di ampia portata nella politica interna dello Stato. “Anche se l’Anc è stato sempre più minato dalla corruzione e dagli abusi di potere, la sua incapacità di disfarsi delle forti diseguaglianze socio-economiche del tempo dell’apartheid, combinato ad una crescita economica mediocre, potrebbe finalmente corrodere l’enorme capitale di buona reputazione che ha accumulato nella lotta contro il dominio della minoranza bianca”. Van de Valle suggerisce che “il puro e semplice simbolismo” di poliziotti che sparavano contro i protestanti possa aver suggerito a molti cittadini sudafricani che “poco sia cambiato e che lo Stato continua a servire una piccola minoranza ricca piuttosto che la maggioranza impoverita”.

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