Parla Abdelhak Khiame, direttore dell’Ufficio centrale di indagini giudiziarie e responsabile dell’antiterrorismo marocchino, che sottolinea come la cooperazione internazionale sia fondamentale

Il terrorismo è un "flagello" che non ha "nazionalità né religione" e il Marocco ha scelto di combatterlo con una strategia "multidimensionale", intervenendo sull'aspetto religioso e puntando sullo sviluppo economico per contrastare povertà e precarietà, perché "l’aspetto securitario da solo non può combattere ciò che porta i giovani a radicalizzarsi". Così Abdelhak Khiame, direttore dell’Ufficio centrale di indagini giudiziarie e responsabile dell’antiterrorismo marocchino, racconta a LaPresse in un lungo colloquio, spiegando che al modello marocchino a suo parere bisognerebbe ispirarsi. Nella blindatissima sede dell'antiterrorismo a Salé, sulle sponde del fiume Bou Regreg che separa la città dalla capitale Rabat, Khiame sottolinea che la cooperazione internazionale è fondamentale: "il Marocco ha sempre teso la mano a tutti i nostri partner europei" aiutando a sventare attacchi e fra Italia e Marocco le relazioni sono "eccellenti", ma vanno rafforzate visti i rischi del terrorismo. Poi assicura: "Se uniamo i nostri sforzi argineremo questo flagello, ci vorrà un po' di tempo ma credetemi, un giorno riusciremo ad arginarlo".

Possiamo dire che il Marocco è stato risparmiato da grandi attentati come ce ne sono stati in altri Paesi. Qual è la motivazione principale? Quale è il segreto della nostra riuscita contro questo flagello? Questa domanda è molto importante. Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, il Marocco si è impegnato con la coalizione per combattere questo flagello del terrorismo: all’epoca era al-Qaeda, successivamente è stato Daesh. Il Marocco, sotto la guida illuminata di sua maestà il re, ha adottato una politica con una strategia anticipativa, multidimensionale, che ingloba non solo l’aspetto securitario ma anche i campi religioso e socio-economico, e l'aggiornamento delle istituzioni securitarie è stato fatto con un processo lungo, fino alla conclusione con la creazione di questo Bureau nel 2015.

Può spiegare più approfonditamente questa strategia? Abbiamo preso coscienza che l’aspetto securitario da solo non può combattere ciò che porta i giovani a radicalizzarsi, mentre bisogna combattere i fattori che portano al radicalismo e alla radicalizzazione dei giovani, dunque è stato fatto uno sforzo in campo religioso: abbiamo un Consiglio superiore di Ulema che ha il controllo esclusivo di tutte le moschee e si fa carico della formazione degli imam; le prediche non possono avvenire nelle moschee senza l’avallo del Consiglio superiore degli Ulema, che ha il controllo assoluto di quello che succede nelle moschee. Inoltre abbiamo combattuto la povertà e la precarietà con un processo di sviluppo economico. Io l'ho detto e lo ripeto sempre: il terrorismo non ha alcuna nazionalità né alcuna religione.

Voi cooperate con Paesi europei. Come vanno le relazioni fra le due sponde del Mediterraneo nell'ambito della lotta al terrorismo? Il Marocco copresiede attualmente il Forum globale della lotta contro il terrorismo (Global Counterterrorism Forum, GCTF) con l’Olanda. È impegnato dopo gli attentati dell’11 settembre a New York e Washington a combattere con i suoi alleati questo flagello che è estraneo alle tradizioni dei marocchini, dunque il Marocco e i servizi di intelligence marocchini hanno accumulato una certa professionalità e know-how che condividono con i partner europei. La prova è che il Marocco ha sempre teso la mano a tutti i nostri partner europei ed è anche stato dietro alla possibilità di sventare diversi attentati che si sarebbero dovuti svolgere in vari Paesi occidentali, cioè in Francia, Spagna, Italia, Danimarca, Belgio. Penso che questa professionalità abbia dato più valore ai servizi di sicurezza marocchini, che ricevono sempre richieste da parte dei loro omologhi europei.

E con l'Italia? Le informazioni tra i servizi di intelligence marocchini e quelli italiani sono fluide, condividiamo le esperienze. Le relazioni sono eccellenti, sappiamo bene che c'è una forte comunità marocchina che vive in Italia, dunque è normale che ci sia questo canale di scambio di informazioni fra i servizi italiani e marocchini. Non ci sono dubbi che le relazioni marocchine con gli italiani siano eccellenti, ma dobbiamo rafforzarle ancora di più visti i rischi dovuti a questa minaccia terroristica che riguarda tutti.

C'è un obiettivo preciso nella lotta al terrorismo che si è proposto con una certa scadenza? Posso riassumere così: il modello marocchino ha portato i suoi frutti, soprattutto in materia di organizzazione dell'ambito religioso. C'è una minoranza musulmana che vive in Italia, ma non solo in Italia. Penso che ispirandosi al modello marocchino le cose andranno bene.

Ispirarsi al modello marocchino significa controllare? Non parlo di controllare perché non si possono controllare i fedeli nei luoghi di culto, ma controllare i discorsi che si tengono nei luoghi di culto. C'è una comunità musulmana da voi, una ebraica, cristiana, tutti questi luoghi devono essere strutturati e non bisogna lasciare il campo libero ad estremisti dai discorsi violenti in luoghi che non sono qualificati, come in dei garage. Bisogna interessarsi a questa comunità che vive da voi e mettere a disposizione dei luoghi di culto e controllare i discorsi e le prediche che vengono fatti in questi luoghi, non controllare i fedeli quando vi si recano. Quello che posso aggiungere è che lottare contro il terrorismo richiederà molto tempo, ma se uniamo tutti i nostri sforzi, con serenità e rispetto, argineremo questo flagello, ci vorrà un po' di tempo ma credetemi, un giorno riusciremo ad arginarlo.

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