Takenuora (Giappone), 11 mar. (LaPresse/AP) – “Stai bene? Voglio tornare a casa”. Queste le ultime parole che la moglie di Yasuo Takamatsu gli scrisse in un’email inviata dopo che la scossa del terremoto di magnitudo 9.0 colpì le coste nordorientali del Giappone l’11 marzo del 2011. Poco dopo aver spedito il messaggio, la donna, Yuko Takamatsu, si rifugiò insieme ad altre 13 persone sul tetto della banca in cui lavorava per sfuggire allo tsunami. Solo uno di loro è sopravvissuto, mentre Yuko è tra le 2.636 persone che risultano disperse dopo il disastro. Ora il vedovo 57enne ha deciso di imparare a fare immersioni per ritrovare i resti della moglie. “Ha scritto ‘Voglio tornare a casa’ e sapendo che era quello che provava voglio cercarla da solo piuttosto che contare sull’aiuto di altri”, ha spiegato l’uomo, che domenica scorsa si è immerso insieme al suo istruttore alla profondità di quasi 7 metri, passando poco più di un’ora sott’acqua.

Ci vorrà molto tempo prima che Takamatsu, ex meccanico aeronautico che ora lavora come autista di bus, possa effettivamente partecipare alle ricerche sott’acqua. Il suo istruttore, Masayoshi Takahashi, conduce operazioni di ricerca insieme ad altri volontari almeno due volte al mese. Continuano a trovare oggetti di proprietà delle vittime e a volte anche delle ossa. Takamatsu non chiede molto, soltanto qualcosa che gli permetta di riportare la moglie a casa. “Ovviamente – ammette – spero di ritrovare il suo corpo. Immagino che ora sarebbero dei resti. Spero di poter trovare qualcosa”.

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