Richard Loeb: Ho ancora in testa le sirene il frastuono del crollo delle torri, come se fosse successo cinque minuti fa

"Ho ancora in testa i suoni delle sirene, le urla della gente, il frastuono del crollo delle torri, come se fosse successo cinque minuti fa. Invece sono trascorsi 15 anni…" Richard Loeb, newyorkese, era a Manhattan quell'11 settembre 2001. Ha visto il primo aereo schiantarsi contro la torre nord del World Trade Center, ha assistito all'arrivo dei soccorsi, ha respirato il fumo e la polvere che hanno circondato Lower Manhattan. "Una vera e propria Apocalisse nel mondo reale", ha scritto Loeb pochi giorni dopo l'attacco alle torri gemelle in un documento inedito di cui LaPresse è entrata in possesso e che, in esclusiva, racconta quei drammatici momenti.

Quel martedì Loeb, all'epoca dipendente di una banca nel distretto finanziario di Manhattan, era in ufficio. "Ogni mattina – scrive – passavo sotto le torri del World Trade Center intorno alle 6.50, godendo della vista magnifica degli edifici di Lower Manhattan. Anche se le vedevo tutti i giorni, ogni volta restavo ammirato dalle torri, pensando che tutto il mondo le conosceva e io invece semplicemente 'passavo lì sotto'". Poi, la notizia, alle 9. "Mia moglie Robin mi telefonò per chiedermi se stessi bene perchè, mi disse, un aereo si era schiantato contro una torre del World Trade Center. L'edificio in cui lavoravo è il più a sud di tutta Manhattan – spiega Loeb – a meno di un chilometro di distanza dalle torri. Scesi nell'ingresso e vidi che fuori c'erano fumo e detriti che, come coriandoli, cadevano ovunque". Richard decise così di tornare a casa ma, nel frattempo, un altro aereo aveva colpito la torre sud. "Capimmo così che eravamo sotto un qualche tipo di attacco".

Arrivato sulla Broadway, Loeb racconta: "c'era polvere ovunque, si sentivano sirene di ogni tipo, la gente correva e piangeva. Molti sembravano essere appena usciti da un qualche tipo di disastro: avevano i capelli spettinati, i vestiti strappati, nei loro occhi si vedeva il terrore, alcuni piangevano, e tutti correvano". Arrivò davanti alla chiesa della Trinità. "Vedere il fumo e le fiamme innalzarsi, sapere che c'erano persone disperate ai piani superiori delle torri e, a quanto avevamo sentito, sul tetto, fece scorrere l'adrenalina nei corpi di tutti noi che osservavamo. Ma eravamo impotenti e frustrati".

Loeb continua descrivendo una delle immagini più terrificanti dell'11 settembre: le persone imprigionate nelle torri che, nel vano tentativo di salvarsi, si lasciavano cadere dalle finestre. "Inizialmente non mi ero reso conto di cosa stessi vedendo, pensavo fossero strani detriti. Osservando una scena che si svolge a quasi 400 metri di altezza, a due isolati di distanza, una persona che precipita nel vuoto non appare subito agli occhi come un essere umano. La gente a terra strillava quando vedeva persone saltare giù".

In quei primi momenti di confusione sembrò prevalere comunque l'ottimismo nella 'forza' americana. Loeb iniziò infatti a parlare con le persone vicine. "Alcuni dissero che nemmeno con degli aerei erano riusciti a far cadere le torri: 'Ci hanno provato di nuovo', dicevano, (riferendosi all'attacco del febbraio 1993, ndr). Credevamo che sarebbe bastata una pesante opera di ristrutturazione e le torri sarebbero tornate presto". Ma bastò una frazione di secondo per cancellare ogni sorta di ottimismo, di speranza. La parte superiore della torre nord si inclinò leggermente verso sinistra e "come in una scena al rallentatore, precipitò in basso…. Il terreno tremò, il suono che accompagnò il crollo fu qualcosa che mi perseguiterà per sempre. Non fu come sentire una serie di esplosioni, sembrava più un pesante tamburellare metallico, come quello che si sente durante un temporale prima che un forte tuono si abbatta a terra, o come quello di un treno della metropolitana in transito. Finì con un forte rombo, confuso e soffocato. Ora si potevano di nuovo sentire le persone che urlavano mentre correvano via, e le sirene…tutte quelle sirene. Era una vera e propria Apocalisse nel mondo reale".

L'onda d'urto di fumo e detriti che si sprigionò dopo il crollo travolse la zona circostante. Loeb si nascose dentro la filiale di una banca. "Ero coperto di una polvere che non avevo mai visto prima: appiccicosa, acida, inconsistente – spiega Loeb – Ce l'avevo dappertutto: nel naso, negli occhi, in bocca, nelle orecchie, sopra e sotto i vestiti. Guardando fuori dalle finestre sembrava che fosse notte, con un turbine di pesante polvere grigia che mulinava intorno". Un quarto d'ora dopo il pavimento tornò a tremare: era la seconda torre che crollava.
Trascorsero due ore di paura e di attesa. Poi la Guardia Nazionale iniziò le operazioni di evacuazione. "Le strade erano praticamente deserte, non c'erano sirene né altri suoni, tutto era attutito come quando si cammina durante una fitta nevicata – ricorda Loeb – Il contrasto tra i suoni e gli eventi incredibili di poco prima era qualcosa da ricordare. Le urla, i pianti, le sirene, tutto taceva. In quel momento ero in una città abbandonata, tutto era stato congelato e zittito dal crollo delle torri. Fu l'esperienza più incredibile, surreale, fisica, mentale ed emotiva che una persona possa mai immaginare".

Loeb impiegò sei ore e mezza prima di arrivare a casa, a New City, sobborgo di New York. "Tra le braccia di mia moglie e dei miei figli ho pensato a tutto quello che era successo: le sirene, i suoni, il silenzio, le sofferenze, e la follia. Sapevo che non avrei mai più potuto essere lo stesso dopo quel giorno".

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