Milano, 11 apr. (LaPresse) – Quello di Telecom Italia doveva essere il cda dell’anno per la finanza italiana e così è stato. Dopo ben 6 ore di riunione, il board presieduto da Franco Bernabé ha partorito la montagna: i colloqui con i cinesi di Hutchison Whampoa non solo vanno avanti, ma ora il gruppo che possiede ‘3 Italia’ vuole diventare l’azionista di riferimento del gruppo, quando sarà scorporato delle rete e quindi anche di larga parte dei suoi debiti. Ci sono parecchi paletti da superare, ma il contesto politico rende possibile qualcosa che se c’è ci fosse una maggioranza al Governo sarebbe impossibile. I cinesi devono evidentemente aver messo sul tavolo un’offerta che non si poteva rifiutare ai soci di Telco, la società che raggruppa gli azionisti del patto che finora ha controllato Telecom con una quota di poco superiore al 22,39%. Un concambio, cui evidentemente non si poteva dire di no. Il titolo infatti oggi viaggia a circa 0,60 euro, ma è carico nei bilanci degli azionisti di Telco ad almeno un euro, fino ad arrivare 1,4 euro. Se Hutchison offrisse 1 euro per azione, quasi tutti i soci Telco sarebbero felici. Anche perché il patto Telco ha poco di industriale, raggruppando Intesa Sanpaolo, Generali, Mediobanca e i Benetton, oltre all’unico socio di settore, gli spagnoli Telefonica, che però dal loro ingresso nel 2007 non hanno mai comandato pur essendo primo azionista, e pare ora siano contentissimi di tornarsene dalle loro parti rivendendo la loro quota, proprio come Mediobanca furente con Bernabè per non essere stata informata dei colloqui con i cinesi. Tutto ciò, anche se una Telecom senza rete e quindi debiti, volerebbe. Proprio per evitare di fare la stessa fine di Telefonica, Hutchison ha messo da subito in chiaro il suo obiettivo: comandare. Il mondo come si sa è lastricato di buone intenzioni, però meglio tutelare un bene primario come la rete di Telecom, anche perché in larga parte è stata pagata dai contribuenti. Ecco quindi che per scalare Telecom, anche uno Stato distratto come il nostro, ha messo moltissimi paletti. Il primo prevede la necessità di avere un via libera dal ministero del Tesoro qualora si voglia superare una quota del 3% dell’azionariato di Telecom. Non solo, il Tesoro può anche bloccare qualsivoglia operazione su Telecom, se ritenga che venga messo in pericolo un bene primario come la rete. Questo secondo paletto sarà aggirato procedendo allo scorporo della rete stessa, ipotesi che il cda di Telecom varò già nel 2007, all’epoca la guidava Marco Tronchetti Provera, che però non portò mai a termine l’operazione ed anzi forse anche per quel fallimento che passò la mano a Telco. Anche Monti l’aveva ipotizzata, senza riuscirci. Ora il punto è di nuovo all’ordine del giorno ed il cda l’ha ri-approvato 6 anni dopo. Scorporando la rete, come per magia sparirebbero i 28 miliardi dei debiti di Telecom Italia, se non tutti quasi. La rete diverrebbe statale, proprio come successo con quella del gas nel 2012 scorporata da Snam Rete Gas, e con quella elettrica passata da Enel a Terna. C’è poi l’antitrust, perché Telecom e ‘3 Italia’ avrebbero una posizione dominante. Ma un affare miliardario è difficile che in Italia sia bloccato da un’authority, che tuttalpiù metterà qualche paletto, come fatto con Telefonica a suo tempo. Resta il vincolo del 3% di quota azionaria massima, da cui non ci si può muovere senza l’ok del Tesoro. Qui entra in gioco l’assenza di Governo, e presidente della Repubblica. Chi può autorevolmente dire di no a Hutchison? Chi ha un’alternativa? Nessuno, e quindi con poco più di 3 miliardi, o forse anche meno, l’Italia si avvia a perdere un altro pezzo della sua storia, proprio come avvenuto con Parmalat, le griffe della moda, i beni di lusso e tante altre cose. In pancia al Paese resteranno solo i debiti, accumulati da quegli stessi finanziatori che su Telecom hanno speculato per 20 anni. A gestire la vendita sarà un comitato di 5 super esperti di finanza e potere: il presidente Franco Bernabè, l’economista Luigi Zinagales (quello che ha scoperto la laurea finta di Giannino), Gabriele Galateri di Genola (gran capo in passato di Fiat, Mediobanca, Telecom ed oggi a Generali), e lo spagnolo Julio Linares, in rappresentanza di Telefonica. Cosa ne sarà dei 30mila dipendenti Telecom nessuno lo sa al momento. Telecom poi al suo interno ha dei veri e propri tesori, innanzitutto centri ricerca all’avanguardia e professionalità di altissimo livello tecnico, ma non solo. C’è soprattutto Tim Brasil, primo gestore di telefonia mobile nell’economia più ‘esplosiva’ del pianeta, con 64 milioni di utenti e 10 miliardi fatturato. Che non potrà che aumentare con Mondiali di calcio e Olimpiadi nei prossimi 3 anni. Anche questo ‘tesoretto’ finirà in mani cinesi. Il titolo aveva chiuso in Borsa, prima che fosse reso noto l’esito del cda odierno, con un guadagno dell’1,74% a 0,615, ma nell’after market a Borsa chiusa il titolo guadagna quasi il 4%. Dieci giorni fa era ai minimi storici appena sopra il mezzo euro, in un anno il calo è stato del 25%. Ci furono anni in cui un’azione Telecom valeva 14 euro: 20 volte di più di oggi, quando viene svenduta. Via alle trattative per limitare i danni.

Di Jan Pellissier

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