Roma, 1 ott. (LaPresse) – La crisi condiziona ancora in maniera determinante le performance del mercato del lavoro influenzando la domanda e stimolando cambiamenti nei comportamenti. E’ aumentata la partecipazione al mercato del lavoro, che però è andata ad alimentare la disoccupazione, soprattutto nel Mezzogiorno: più componenti della famiglia si attivano per compensare i redditi in deterioramento. Tuttavia le crescenti difficoltà sui bilanci frenano i giovani nel proseguire gli studi e la mancanza di lavoro e di formazione impoveriscono il capitale umano già accumulato. Questi sono alcuni degli aspetti della situazione occupazionale italiana, secondo l’analisi elaborata dal Cnel nel Rapporto sul mercato del lavoro 2012-2013. A fronte della contrazione della domanda, dovuta alla crisi economica e all’aumento della pressione fiscale, il Rapporto quest’anno registra un aumento significativo della forza lavoro, conseguenza della perdita del potere d’acquisto delle famiglie e della diminuzione dei salari reali. Il fenomeno, già avviato nel 2012, vede un generale incremento del tasso di attività che coinvolge tutte le fasce d’età.

INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE ATTIVA. Cresce la partecipazione degli over 55, soprattutto per effetto delle riforme pensionistiche, con le inevitabili ripercussioni sul turn over del circuito produttivo: quasi 277mila persone in più rispetto al 2011, dei quali la maggior parte occupati (+ 6,8% rispetto al 2011). Cresce anche il tasso di disoccupazione “matura” (dal 3,5 al 4,9%), nella quale rientrano gli “esodati”.

FEMMINILIZZAZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO. L’offerta di lavoro da parte delle donne è in aumento, sia rispetto agli anni passati che nei confronti della componente maschile: le donne “attive” sono ora più del 42% delle forze lavoro (40,5% nel 2007); e soprattutto sono aumentate le “occupate”: il tasso di occupazione femminile è salito al 41.6% dal 39.7% del 2007, con una crescita dell’1.2% rispetto al 2011, pari a 109 mila occupate in più. Tuttavia continua a persistere il fenomeno della segmentazione di genere, che caratterizza ampiamente il nostro mercato del lavoro: le professioni in cui si concentra la presenza femminile sono poche e poco qualificate.

LA QUESTIONE GIOVANILE. In aumento il tasso di attività dei giovani (15-29 anni), nonostante rappresentino meno del 7% degli attivi, laddove i “maturi” (over 55) sono ormai più del 12%. Non si arresta il fenomeno dei Neet (“not in employment, education or training”): la quota di ragazzi che non hanno un’occupazione e al tempo stesso non sono a scuola o in formazione si attesta al 23,9% della popolazione giovanile, con punte di 35% nelle regioni del Mezzogiorno. Più attivi sul mercato, ma più disoccupati o sottoinquadrati rispetto ai livelli di istruzione conseguiti, i giovani confermano ancora una volta il vuoto che esiste tra i risultati del sistema formativo e la domanda di lavoro ed il progressivo incremento del fenomeno dell’over-education. I giovani sono inoltre più frequentemente working poor, lavoratori a basso salario, che accettano condizioni lavorative, che li espongono al rischio di indigenza, pur di entrare nel circuito produttivo. Peraltro, la maggiore disponibilità a prestazioni saltuarie e non inquadrate ha determinato la crescita del lavoro nero in tutto il Paese.

PRECARIETÀ E MOBILITÀ. L’attuale recessione ha cambiato la morfologia del mercato del lavoro anche dal punto di vista delle caratteristiche contrattuali. Cresce, infatti, il numero dei part-time involontari (lavoratori che non hanno trovato un impiego a tempo pieno pur desiderandolo), ma soprattutto dei precari: quasi 3 milioni di persone, tra dipendenti a tempo determinato e parasubordinati, circa il 12.6% dell’occupazione complessiva. In particolare, il rischio di precarietà per i giovani è aumentato di circa 6 punti percentuali dal 2007. I dati suggeriscono un aumento del numero di italiani che scelgono di andare a lavorare all’estero, a fronte di una simmetrica.diminuzione dei flussi in ingresso di lavoratori immigrati.

DIVARIO TRA NORD E SUD DEL PAESE. Tutto ciò si registra in misura più intensa al Sud Italia, che, avendo maggiormente risentito delle difficoltà della domanda interna, espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Anche la crescita della partecipazione al mercato del lavoro è stata più marcata nelle regioni del Mezzogiorno: in buona misura si è però trattato di un passaggio dall’inattività alla disoccupazione, data la debolezza della domanda.

L’incremento della popolazione attiva si è sostanzialmente tradotto in una significativa espansione dell’area della difficoltà occupazionale: se, oltre ai disoccupati, si considerano anche gli inattivi disponibili a lavorare, coloro che non ricercano attivamente e i sottoccupati (cassaintegrati e occupati a tempo parziale involontari) tale area di disagio è aumentata di circa due milioni di persone in un anno. Si tratta di uno spreco di risorse ingente, sostiene il Cnel, di un progressivo impoverimento del capitale umano, che rischia di generare conseguenze sociali allarmanti, soprattutto perché le più colpite sono le nuove generazioni.

L’Italia si trova fra i Paesi dell’area euro che nel corso degli ultimi anni hanno mostrato una buona capacità di resistenza del mercato del lavoro alla crisi: la riduzione delle ore lavorate per occupato, così come la stessa flessione della produttività del lavoro, ha contribuito a contenere l’entità delle perdite occupazionali. Ciononostante, se l’economia italiana non si riporterà su un sentiero di crescita sarà molto difficile, afferma il Cnel, una inversione di tendenza rispetto all’attuale crisi. Nel Rapporto si stima che per riportare il tasso di disoccupazione all’8% entro il 2020, il tasso di crescita del Pil dovrà superare il 2% all’anno negli anni a venire. A rendere più complessa la sfida sono i vincoli della finanza pubblica, che limitano le risorse per le politiche del lavoro (l’Italia è fra i Paesi che meno spendono per le politiche attive), e l’eccessivo carico fiscale che grava sul lavoro e sull’impresa.

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