L'opera del professore di Storia Contemporanea del dipartimento di Scienze politiche de La Sapienza di Roma
I rapporti con la Chiesa e il suo atteggiamento nei confronti del Pci in una delle stagioni più travagliate della Repubblica: sono i temi al centro del volume “Andreotti, la chiesa e la ‘solidarietà nazionale'” pubblicato da Augusto D’Angelo per le Edizioni Studium, con i documenti inediti dell’archivio di Giulio Andreotti ed i diari del triennio 1976-1979, quelli in cui lo statista romano fu alla guida dei governi resi possibili dalla collaborazione del Pci. D’Angelo, professore di Storia Contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche de La Sapienza, a Roma, ricostruisce come dall’iniziale contrarietà di Andreotti ad ogni apertura verso il Partito Comunista, manifestata fino a metà degli anni Settanta, il Presidente sia poi arrivato, a metà del decennio, a guidare governi che si avvalsero prima dell’astensione e poi del sostegno esterno del Pci.
“Gli anni Settanta – scrive D’angelo – hanno rappresentato per la Dc una stagione difficile, inserita all’interno di una crisi più vasta” che sembrava minare gli equilibri stabilitisi a conclusione della Seconda guerra mondiale. Fino al voto del 20 giugno del 1976, Andreotti, che era stato indicato già nel 1970 – senza successo – a formare un governo quadripartito e poi, nel 1972, alla guida di un governo più moderato, si era “qualificato come chiaro avversario dei comunisti, contrario al confronto, per un rapporto competitivo con il Pci”. Ma all’esito delle elezioni del 1976 Aldo Moro chiese proprio ad Andreotti di guidare l’esecutivo reso possibile grazie all’astensione del Pci, perché considerato “garante nei confronti degli Stati Uniti ed in grado di presidiare il fronte interno più problematico, quello della Chiesa Cattolica”, scrive D’Angelo. Quei governi, stretti tra la crisi economica e l’attacco terroristico al cuore dello Stato, furono chiamati ad affrontare una delle stagioni più difficili della Repubblica.
Proprio la relazione con la Chiesa, e il rapporto in particolare con il cardinal Poletti vicario di Roma dal 1973, sono al centro dell’analisi di D’Angelo. “Il rapporto tra il prelato e l’uomo politico è stato complesso”, scrive D’Angelo. Nel volume sulle sue memorie Poletti precisa di “aver coltivato ‘la speranza di una possibile amicizia’ ma di aver preso progressivamente atto del fatto che ci si sarebbe attestati su rapporti che non sarebbero andati oltre ‘il solo rispetto, la stima, e le formali espressioni di cordialità'”. Migliori le relazioni con il nuovo Segretario della sezione per i Rapporti con gli stati della Segreteria di Stato (il “ministro degli esteri della Santa Sede”), il futuro cardinale Silvestrini. A lui Andreotti, nel 1980, scrive di essersi reso conto che i termini essenziali del dibattito politico italiano ai vertici della Santa Sede erano “conosciuti in modo approssimativo e distorto”, offrendo una intervista “non destinata alla pubblicazione” per spiegare agli alti prelati la reale situazione politica italiana. Si era alla vigilia del Congresso democristiano che col “preambolo” chiuse definitivamente alla collaborazione con il PCI. Andreotti sostenne la validità della “solidarietà nazionale” chiedendo a Silvestrini di non favorire interventi pubblici sul tema, che parte della DC, invece, pretendeva. E chiese se non fosse opportuno che “l’intervista”, e le spiegazioni in essa contenute – compresa l’opportunità di “non sbattere la porta in faccia” ai comunisti – venisse letta “utilmente da più autorevole Persona”. Un riferimento implicito a papa Giovanni Paolo II.
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