di Lorenza Pleuteri

Milano, 19 lug. (LaPresse) – Trent’anni fa, come oggi, nei bacini di decantazione della miniera di Prestavel si ruppero gli argini e vennero scaricati 160mila metri cubi di fango sulla frazione di Stava e sugli abitanti, mentre consumavano il pranzo o si accingevano a sedersi a tavola. La massa di sabbia, limi e acqua, lanciata a 90 chilometri all’ora, distrusse 53 case, 3 alberghi, 6 capannoni, 8 ponti. Morirono 268 persone. In quella immane tragedia, figlia delle colpe attribuite a dieci uomini, Graziano Lucchi perse il padre Bruno e la mamma Elodia. Aveva trent’anni e per lui niente è stato come prima, come per i familiari di tutte le altre vittime. A capo della ‘Fondazione Stava’, promotrice in questi giorni di decine di appuntamenti e iniziative, parla della necessità di non lasciar sbiadire i ricordi e la memoria.

D: Lucchi, quanto bruciano ancora le vostre cicatrici? R: “E’ un dolore che non va più via, ma noi cerchiamo di metterlo a disposizione di tutti. Abbiamo perso persone care, il paese natio, le radici. Coltivare la memoria è un obbligo morale, un imperativo. Dobbiamo fare in modo che la gente di Stava non sia morta invano, per noi familiari, per la comunità e per i giovani e le generazioni che non c’erano. Devono sapere, non può più succedere”.

D: Se dovesse scegliere poche parole, che cosa direbbe ai ragazzi? R: “Stava non è stata una fatalità, ma il frutto della sudditanza di un gruppo di uomini e della loro mancanza di etica, dell’arroganza, dell’incuria e della superficialità. I bacini crollati furono costruiti nel peggiore posto possibile e male. E non venivano controllati. Riprendendo la prefazione a un mio libro, scritta da Franco De Battaglia, occorre continuare a parlarne affinché i nostri morti si liberino della loro disperazione, per tradursi in un momento di riscatto civile e per gridare la necessità di nuovi rapporti tra le persone”.

D: Oltre che mantenendo accesa la memoria, come si possono onorare questi morti? R: “Dobbiamo interrogarci sulle nostre responsabilità verso il territorio e verso le risorse, a cominciare dall’acqua e dai minerali. E bisogna rafforzare la cultura della prevenzione, conveniente anche dal punto di vista economico. Per evitare il crollo sarebbe bastata una cifra pari a un decimo di quanto è stato speso dai giudici per pagare le perizie necessarie per capire le ragioni dei cedimenti”.

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