Fu omicidio annunciato, giudici e poliziotti non seppero evitarlo. Lo Stato è condannato a risarcire figli. Governo ha bloccato tutto

"Sono demoralizzato, ma finché avrò fiato continuerò a lottare, per ottenere giustizia, per amore dei miei figli. Continuo a provare, non mi arrendo, e lo faccio solo per loro. La verità è che lo Stato per i minori non c'è mai, ed è per questo che non mi fermo e vado avanti". Così, a LaPresse, Carmelo Calì, cugino di Marianna Manduca uccisa dall'ex marito nel 2007 dopo 12 denunce per le violenze subite dall'uomo rimaste senza alcun seguito.

Gli orfani della donna, adottati da Calì, hanno ottenuto dal tribunale una sentenza di risarcimento danni, contro la quale ha deciso di fare ricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che quel risarcimento sarebbe tenuta a pagare. "L'appello contro la decisione del Tribunale ci poteva stare – dice Cali, che di figli, tra adottati e non, ne ha sei, tutti tra i 10 e i 20 anni – ma la decisione di bloccare il risarcimento per me è inconcepibile e anticostituzionale. Ed è una mancanza di rispetto nei confronti di questi ragazzi ai quali il giudice aveva riconosciuto qualche diritto in più verso lo Stato".

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel fare appello, ha chiesto la sospensione dell'esecuzione della sentenza di primo grado, allo scopo di non pagare il risarcimento, di 260mila euro per danno patrimoniale, in attesa dell'esito di una prossima sentenza. A sentire parlare Carmelo Calì si capisce quanto amore ci sia stato nella scelta fatta, dieci anni fa, la notte stessa dell'omicidio di Manduca, uccisa a coltellate dal marito in mezzo a una strada di Palagonia, vicino a Catania.

Calì e sua moglie Paola, residenti a Senigallia (Ancona), all'epoca della tragedia avevano quarant'anni e tre figli di dieci, cinque anni e otto mesi. Piccolo imprenditore edile lui, commessa lei. "Alle 21 del 3 ottobre 2007 arrivò la notizia della morte di Marianna che io conoscevo appena, l'avevo vista da bambina. Ma quando abbiamo appreso la notizia abbiamo subito chiesto l'affidamento dei bimbi, che avevano 2, 5 e 6 anni – racconta l'uomo – L'omicidio è avvenuto alle 21:00, l'assistente sociale a mezzanotte era al telefono con il giudice per farsi firmare il decreto di affidamento, perché conosceva la situazione difficile dei bambini. All'1:00 di notte già avevamo il decreto del tribunale dei minori firmato dal giudice. Qualche giorno dopo lì abbiamo portati con noi a Senigallia e da allora non ci siamo più separati, due anni dopo lì abbiamo adottati".

"Io non conoscevo mia cugina ma alcune cose non mi tornavano – prosegue Calì spiegando i motivi che lo portarono in tribunale – a cominciare dalle 12 denunce in due anni…come era possibile? Allora ho cercato informazioni, ho conosciuto gli amici di Marianna, i carabinieri che avevano ricevuto le sue richieste di aiuto, il suo avvocato. E ho capito che, essenzialmente, Marianna era sola, nessuno aveva voluto aiutarla. E le sue denunce non avevano avuto alcun seguito. Allora, soprattutto pensando ai miei figli mi sono detto che la giustizia non poteva essere questa e che Marianna meritava di più. Così ho cominciato questa battaglia".

Marianna Manduca, presentò dodici denunce contro l'ex marito violento, per le aggressioni e le minacce subite tra il 2006 e il 2007, ma le sue disperate richieste di protezione rimasero inascoltate fino all'omicidio. L'assassino, Saverio Nolfo, è in carcere dove sta scontando una pena di 21 anni. I giudici hanno stabilito che ci fu 'colpa grave' nell'inerzia dei giudici che, nonostante i ripetuti segnali di violenza da parte dell'uomo e le denunce della moglie non trovarono il modo di fermarlo. Per questo la Presidenza del Consiglio dei ministri, come previsto dalla legge sulla responsabilità civile dei magistrati, è stata condannata al pagamento di un risarcimento dei danni subiti dai tre figli della donna uccisa, contro cui ha fatto ricorso

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