Reportage all'Iccom, Istituto di chimica dei composti organometallici, di Pisa

Le radici di Mafia capitale sono davvero antiche: persino il conio romano imbrogliava sulla quantità di argento inserita nelle monete. E non solo nelle fasi finali della Repubblica, nel primo secolo avanti Cristo, quando le turbolenze della guerra civile giustificavano magari qualche ritocco dovuto alle necessità urgente di liquidità, ma fin dall'inizio, dal quinto secolo, ogni volta che ce n'era bisogno. La scoperta si deve alla collaborazione tra il Monetiere del museo archeologico di Firenze e il laboratorio di spettroscopia laser applicata dell'Iccom (Isituto di chimica dei composti organometallici) di Pisa.

Questo piccolo laboratorio ospitato presso il complesso dell'area della ricerca del Cnr di Pisa, dal budget piuttosto modesto, è una delle tante perle poco conosciute della ricerca italiana, che ha fatto della collaborazione tra discipline diverse uno dei suoi punti di forza. "La quantità d'argento presente in queste monete – spiega il responsabile Vincenzo Palleschi, studioso di archeometria, disciplina che applica le tecniche della fisica allo studio dell'archeologia – tradizionalmente si considerava abbastanza costante per tutto il periodo repubblicano. Si sapeva che i denari dell'ultimo periodo della Repubblica invece erano di guerra, fortemente ribassati. Ma con i numismatici del Monetiere c'era il sospetto che anche durante i tre secoli in cui tutto andava bene, ci potevano essere stati momenti in cui il valore reale del denaro era più basso. Ed effettivamente abbiamo verificato che è proprio così. Soprattutto nei momenti critici, quando avvenivano guerre sociali o rivolte, la quantità di argento nelle monete scendeva. Poi quando si arrivò alla guerra civile degli ultimi anni, il valore scese in maniera davvero drammatica. Ma sono stati scoperti anche veri e propri falsi di Stato, monete con un cuore di rame e una copertura d'argento superficiale".

L'analisi delle monete è stata possibile grazie a uno strumento realizzato nello stesso laboratorio: un Laser Induced Breakdown Spectroscopy (Libs). Si tratta di una sorta di microscopio che restituisce la composizione chimica di un oggetto. Il laser colpisce la superficie più volte, scavando un buco di qualche micron e a ogni colpo compie l'analisi. In questo modo fa in effetti un microcarotaggio, il che consente di vedere la composizione chimica di ciò che si trova sotto la superficie. Il laboratorio ha sviluppato alcune metodologie innovative per la realizzazione e l'impiego di questa macchina. Metodologie poi sfruttate da una azienda pisana specializzata nei laser, la Marwan Technology, che ne ha prodotti diversi e li ha immessi sul mercato. Ora ce ne sono una a Berlino, una a Padova e una Palermo.

Le sue potenzialità investono vari settori. "Un progetto che abbiamo in campo ora – spiega Palleschi – riguarda il riciclo di rottami nel settore automobilistico. C'è un grosso problema col riciclo dell'alluminio. Bisogna sviluppare un sistema in grado di distinguerlo rapidamente dal resto. Collaboriamo con due impianti di smaltimento vicino Barcellona. Hanno nastri trasportatori che viaggiano a due metri al secondo, è una bella sfida. Al progetto lavorano anche una ditta spagnola che fa laser, la nostra Marwan, l'università di Manchester e quella di Lisbona". E ancora: "Abbiamo sviluppato – spiega Palleschi – un fluorimetro che misura le presenze di selenio, arsenico, mercurio e altri inquinanti nelle acque e nei fumi. Anche l'Enel ne ha acquistato uno".

Nel campo archeologico, questo macchinario ha permesso anche di fare analisi su ceramiche del neolitico risalenti al quarto millennio e, in collaborazione con un team archeologico, di stabilire il valore delle informazioni contenute nelle ossa umane. Bisognava capire se le ossa ritrovate in siti archelogici nei quali si sono sviluppati grossi incendi mantengono le informazioni sugli individui a cui appartenevano. In laboratorio si sono fatte delle analisi su ossa animali, che sono state sottoposte a combustione, e poi sottoposte di nuovo alle stesse analisi. "Abbiamo scoperto – racconta Palleschi – che dopo la combustione non si perdono informazioni".

L'Iccom – che ha tre sedi, Firenze, Pisa e Bari – è solo uno dei 69 istituti del Cnr e il laboratorio diretto da Palleschi è solo uno dei cinque laboratori dell'Iccom di Pisa. Una galassia a cui è difficile dare adeguati finanziamenti. E così praticamente il laboratorio si autofinanzia: "Il Cnr – racconta Palleschi – paga lo stipendio di due persone", lui e il collega Stefano Legnaioli, fisico con un dottorato in chimica e scienze per i beni culturali. "E lo fa – aggiunge – come si dice 'a uomo fermo'. Cioè senza soldi per progetti e materiali. Tutto quello che arriva qui, arriva dall'esterno. Se ne è fatta addirittura una filosofia che il laboratorio debba cercare i fondi per conto proprio". Tra collaborazioni e progetti europei, spiega, in questo laboratorio entrano circa 200mila euro l'anno, con i quali – a parte le borse di studio della Regione Toscana – si paga tutto, inclusi i due dottorandi. Uno è Stefano Pagnotta, dottorando in Scienze della terra, laureato in Archeologia, e l'altra è Emanuela Grifoni, laureata in Scienze della conservazione a Pisa e dottoranda in Chimica dei beni culturali.

Una struttura del genere dovrebbe allora difendere con le unghie i propri risultati. Invece non va proprio così. "Nel 1999 – racconta ancora Palleschi – brevettammo una metodologia per il Libs. Tempo dopo una ditta americana se ne interessò e ci chiese un contratto di opzione per vederla". Il Cnr ha un ufficio brevetti ma all'epoca nessuno sapeva come scrivere questo contratto di opzione, in inglese. "Lo scrissi io, ispirandomi ad altri contratti. Quella ditta fu scorretta. Vide la nostra tecnica e alla fine la replicò. Era il 2007-2008. Chiesi al nostro ufficio brevetti di intervenire ma non sapevano come fare. In genere in questo caso si manifesta il proprio diritto e poi si arriva a un accordo. Invece non è stato fatto nulla. Per molti conta solo quanti brevetti abbiamo registrato, ma è inutile brevettare se poi non sei capace a difendere i tuoi brevetti. Alla fine rivedi quelle persone ai congressi in giro per il mondo e ti guardano per quello che sei, cioè qualcuno che non ha alle spalle nessun sostegno".

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