Roma, 10 nov. (LaPresse) – Si chiama ‘Progetti per l’Afghanistan’ l’iniziativa, presentata a Roma a Palazzo Salviati, al Centro studi Difesa, che ha portato in Italia quattro studentesse e due studenti di giornalismo afghani a conclusione di un percorso formativo organizzato con la collaborazione di Fondazione Fondiaria Sai, Università Cattolica di Milano, lo stato Maggiore della Difesa e Rai World.
Da due anni è attivo un corso di Reportage giornalistico per 25 studenti, di cui 15 donne, all’università di Herat, che ha fornito strumenti teorici e operativi per la realizzazione di report giornalistici sulla vita quotidiana afghana, mettendo al centro la promozione della figura femminile nel Paese. Questi racconti hanno dato vita a un web magazine intitolato ‘Woman to be’, in cui le donne afghane raccontano se stesse, affacciandosi sul mondo globale per affermare la dignità e la speranza del loro paese, insieme alla volontà delle sue cittadine di essere le protagoniste riconosciute di una rinascita.
“Abbiamo saltato il fosso – ha detto Marco Lombardi dell’Università Cattolica di Milano – perché ci siamo serviti di un’altra prospettiva: far diventare protagonisti gli afghani. L’obiettivo era formare 25 ragazzi per far raccontare da loro, alla fine del progetto, l’Afghanistan”. Un Paese nel quale, in sette missioni da luglio 2009 ad agosto 2011, l’università Cattolica ha cooperato, coinvolgendo 25 docenti e collaboratori che hanno erogato 270 ore di formazione, rivolgendosi a circa 300 afghani. Congiuntamente ha operato la Fondazione Fondiaria Sai, che ha lanciato nel 2010 l’iniziativa ‘Donne giornaliste’ con un corso di fotogiornalismo rivolta alle studentesse di Herat, ha fornito a 30 sarte di Kabul un atelier dove imparare il mestiere (‘Fashion in Kabul’), si è schierata a Herat al fianco di Suraya Pakzad e alla sua organizzazione ‘Voice of Women’, ha aiutato una sposa bambina di 12 anni, Shafiqa.
Sempre della stessa matrice sono i progetti ‘Women to be’ finalizzati alla crescita economica, sociale e culturale delle donne, che forniscono strumenti concreti e prospettive per lo sviluppo. Le sfide della Fondazione Fondiaria Sai hanno toccato per il 2011 diversi paesi oltre all’Afghanistan: Burkina Faso, Etiopia, Haiti e India. “Qui stiamo costruendo una città per 800 bambini – racconta il presidente Giulia Ligresti – con l’obiettivo costante di aiutare donne e bambini”. “Il lavoro in Afghanistan dell’Isaf è importantissimo – aggiunge – ma in questo Paese la vera emergenza è la condizione femminile. Dare voce alle donne è stato da quel momento il nostro obiettivo come Fondazione”.
Giulia Ligresti confida all’agenzia di stampa LaPresse di aver acquistato un burqa e di averlo indossato. “E’ stato terribile – rivela – ho voluto provare quello che sentono le donne afghane, si vedono ovunque questi burqa azzurri che camminano”. “Le donne afghane – spiega con trasporto – non ti guardano neanche in faccia quando parli con loro, bisognava fare qualcosa, così, insieme al professor Lombardi, abbiamo organizzato ‘Women to be’ ed è stato naturale portarle da noi a conclusione del programma”. Il senso dell’operazione, secondo Ligresti, sta nel mettere a contatto le culture, perché “come donna, è importante far vedere di persona che si può vivere in una condizione di libertà”. “Le ragazze arrivate in Italia non si formeranno solo come giornaliste ma si faranno portatrici – è l’augurio del presidente Fondazione Fondiaria Sai – di valori di libertà e democrazia nel loro Paese, senza rischiare la pelle”.
A spiegare di che cosa hanno bisogno le donne afghane è Fariha Khorsand, 23 anni di Herat, che ha raccontato la realtà da cui proviene. “Hanno bisogno – ha spiegato – di assistenza per le violenze subite in famiglia. Molte sono obbligate a stare in casa senza poter studiare, nè occuparsi di alcuna attività. Persino quelle acculturate se si sposano, vengono costrette ad abbandonare la vita precedente. Le leggi le limitano fortemente, infatti non possono divorziare, mentre gli uomini hanno la facoltà di sposarsi fino a quattro volte. Solo in rarissimi casi si può autorizzare una donna a divorziare, se ad esempio si prova che il marito è drogato, ma non succede mai”.
Per Fariha non è stato facile, i suoi genitori la supportano senza però schierarsi apertamente a suo favore, perché sarebbe pericoloso. Lei comunque si sente fortunata, “potrò fare – si augura – qualcosa per il mio Paese raccontando che qui le donne sono libere e lavorano”. Tutte le attività sono state inserite nel contesto della cooperazione civile e militare con il Provincial reconstruction team (Prt) dell’Esercito italiano a Herat, che, insieme al ministero della Difesa e all’ambasciata italiana, ha fornito il supporto logistico agli interventi.
Quattro di queste studentesse, presenti oggi all’incontro stampa, sono arrivate in Italia il 4 novembre e stanno svolgendo uno stage presso la Rai a Roma e a Milano, presso la Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica con inserimento nelle redazioni del Corriere della Sera e dell’Avvenire. Anche Rai World ha partecipato all’evento con la presentazione del ‘Progetto Afghanistan’, promosso dal dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della presidenza del Consiglio dei Ministri, comprensivo della newsletter settimanale ‘Dossier Afghanistan’, del sito dedicato alla missione italiana (www.italiafghanistan.rai.it) e con la presentazione del documentario ‘Afghanistan 2011. Herat in Transition’, che andrà in onda sui canali Rai.
Alla presentazione del progetto sono intervenuti a Palazzo Salviati il generale Massimo Fogari, Francesco Talò, inviato speciale per l’Afghanistan e il Pakistan del ministero degli Affari Esteri, il professor Marco Lombardi, Università Cattolica di Milano, Giulia Ligresti, presidente della Fondazione Fondiaria Sai, Marco Tarquini, direttore di Avvenire, Antonio Morra, Corriere della Sera e Claudio Cappon, amministratore delegato Rai World.
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