Ieri un veneziano ha scelto la stessa clinica di Antoniani, la moglie: "Sollevata non soffra più"

Il tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, è stato iscritto nel registro degli indagati per il reato di aiuto al suicidio per il ruolo avuto nel ricovero in una clinica svizzera di Fabiano Antoniani, in arte Dj Fabo, e nella sua morte. Il fascicolo è stato affidato al procuratore aggiunto Tiziana Siciliano. Il pm ha iscritto Cappato nel registro degli indagati dopo la sua autodenuncia di ieri dai carabinieri. Non è escluso che il pm decida di interrogare l'esponente radicale nei prossimi giorni.

LA MOGLIE DI TREZ: NON SOFFRE PIU'. "Mio marito non era tipo da dire 'ti amo' o cose del genere. Da tempo non parlava più, poteva solo scrivere. In questi giorni ci siamo detti un milione di cose, tutte quelle che non ci eravamo detti in una vita. Mentre moriva eravamo ai lati del letto, io e mia figlia. Gli abbiamo stretto le mani e lo abbiamo visto sorridere, tranquillo. Se n'è andato così". Lo ha raccontato al Corriere della Sera, Emanuela, moglie di Gianni Trez, veneziano di 65 anni, che ieri è andato a morire in Svizzera, alla Dignitas, nella stessa stanza dove il giorno prima era morto dj Fabo. "Siamo andati lì verso le undici, a mezzogiorno era tutto finito", spiega la donna dicendosi "sollevata all'idea che se ne sia andato senza soffrire. È stata una liberazione, per lui soprattutto. Ma anche per me e Marta, perché vederlo soffrire in quel modo assurdo e sapere che da noi non aveva la possibilità di decidere il suo finale è stata una crudeltà aggiunta alla crudeltà della malattia".

Emanuela si è detta arrabbiata "perché siamo dovuti venire fin qui, perché siamo al terzo rinvio in Parlamento della legge sul fine vita, perché penso ai tanti malati terminali che non hanno né forza né possibilità economiche per permettersi di morire dolcemente. Sono arrabbiata con la politica che non rispetta chi soffre". Quanto a coloro che credono che la vita valga la pena di essere vissuta nonostante tutto, "sono credenti, evidentemente. Credono che vivere a ogni costo porti in Paradiso. Se per loro è così a me sta bene. Quello che non mi sta bene è che il loro pensiero debba valere per tutti, anche per noi che non siamo credenti. È banale dirlo ma le situazioni… una cosa è viverle un'altra è immaginarle".

Gianni Trez non era cattolico: "Mi ha detto: 'Io non sono credente però non metto limiti alla provvidenza, se ci fosse qualcosa tanto meglio'", racconta la moglie. "Era uno così, era il suo modo di vedere il bicchiere mezzo pieno, perfino dopo la morte. Era un uomo innamorato pazzo della vita ma quella a cui l'aveva costretto la malattia era un'altra cosa. Di certo non vita", ha spiegato.

 "Mio marito – ha aggiunto – non era depresso. Era sofferente e senza futuro, la malattia gli aveva tolto ogni dignità. Se gli avessero detto: soffrirai altro tempo ma poi guarirai, avrebbe resistito. A chi in questi giorni gli ha chiesto se fosse proprio sicuro della sua scelta lui ha sempre risposto: 'Chiedi a chiunque come vorrebbe morire quando arriverà il suo momento. Tutti ti diranno che vorrebbero addormentarsi e non svegliarsi più. Ecco, io voglio fare lo stesso'. Aveva ragione lui".
Anche Emanuela e Gianni, come dj Fabo, hanno avuto accanto gli amici fino alla fine: "sono venuti a trovarci tutti. E Gianni li ha sempre accolti col sorriso. Prima di partire a un'amica che gli chiedeva come va ha scritto: 'Solito tran tran, morfina e cortisone. Domani partiamo, sono curioso di vedere la Svizzera'. A un'altra molto cattolica che gli parlava di un posto oltre la morte dove stanno le persone che si comportano bene ha scritto: 'Beh, martedì ti saprò dire dove sarò finito'".

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